
Secondo le anticipazioni del Rapporto Svimez 2023, il Sud del dopo pandemia ha agganciato la ripresa. Ma bisognerebbe mettere a terra il Pnrr per vederlo allineato, entro il 2025, ai ritmi di crescita del resto del Paese. E, soprattutto, per raggiungere quest’obiettivo, bisognerebbe frenare la fuga di cervelli che continua a caratterizzarlo.
Tra il 2001 e il 2021, circa 460mila laureati si sono trasferiti dal Mezzogiorno al centronord per una perdita netta di circa 300mila cervelli nell’area. E sempre tra il 2001 e il 2021, la quota di emigranti meridionali con elevate competenze, in possesso di una laurea o di un titolo di studio superiore, si è più che triplicata: da circa il 9 a oltre il 34%.
Non è tutto: sempre Svimez stima che, nel 2022, per la prima volta nella storia delle migrazioni interne italiane, la quota di laureati sul totale degli emigrati meridionali supererà quella relativa a titoli di studio inferiori. Nel Sud, poi, si assiste ad un fenomeno che fa pensare: le aziende assumono meno laureati (fino a ben 3 volte in meno) rispetto al Nord.
Quella tra i giovani e le realtà lavorative del Mezzogiorno è, quindi, quantomeno una storia difficile. Lo si capisce anche da un altro dato: quello dei salari. In primis, c’è da dire che la perdita di potere d’acquisto ha interessato soprattutto il Sud (-8,4%). E che, nel 2022, le retribuzioni lorde in termini reali, se sono state di 3 punti più basse nel centronord rispetto al 2008, nel Mezzogiorno, sono calate addirittura di ben 12 punti.
Per Svimez, infine, se in tutt’Italia sono circa 3 milioni, pari al 17,2% del totale, i lavoratori che percepiscono un salario orario inferiore ai 9 euro lordi, al Sud questa percentuale si innalza toccando 1 milione di persone, il 25,1% degli occupati: in altri termini, 1 lavoratore su 4 se lo sogna il salario minimo proposto dal centrosinistra al governo.