
Come si tradurrà la rimodulazione dell’Irpef sugli stipendi dei dipendenti pubblici? L’ha calcolato il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili alla luce della riduzione del 2% dell’aliquota Irpef sullo scaglione di reddito da 15mila a 28mila euro a cui si somma un taglio del cuneo contributivo per i lavoratori dipendenti pari al 7% per i redditi fino a 25mila euro e del 6% per quelli fino a 35mila euro (ne abbiamo parlato anche qui). Il risultato è di mille euro netti in più all’anno per i redditi fino a 20mila euro lordi. Ma non solo: il beneficio sale a 1.346 euro l’anno per chi guadagna 30mila euro (112 euro al mese) e poi cala a 260 euro per i redditi da 40 a 50mila euro l’anno. Soglia oltre la quale i contribuenti pagheranno una franchigia proprio di 260 euro sulle detrazioni.
Dal calcolo del Consiglio si evince poi come l’incremento sia soprattutto dovuto al taglio del cuneo fiscale: oltre i 40mila euro, infatti, venendo meno quell’effetto, l’incremento della retribuzione netta si riduce a 260 euro, derivante dalla sola riduzione di 2 punti percentuali dell’Irpef dovuta sul secondo scaglione di reddito (da 15 mila a 28 mila euro). Peraltro, si tratta dello stesso effetto che la legge di Bilancio avrà su lavoratori autonomi e pensionati che beneficeranno solo del taglio del 2% dell’Irpef. Motivo per cui l’incremento del reddito netto disponibile per autonomi e pensionati si ferma a 260 euro per redditi lordi da 30mila a 50mila euro e si riduce a 100 euro in corrispondenza di un reddito di 20mila euro.
Ma i primi effetti in busta paga quando arriveranno? Complici i margini di bilancio tutt’altro che generosi per l’anno prossimo, l’esigenza di scaricare spesa dal 2024 ha prodotto il meccanismo del decreto Anticipi approvato lunedì che sposta sulla fine di quest’anno 2 miliardi destinati agli statali. Si tratta di un anticipo rispetto ai rinnovi contrattuali in programma nel 2024 e arriverà sui cedolini di dicembre.
La novità varrà 662 euro lordi per gli operatori che occupano il primo gradino degli organigrammi ministeriali; crescerà a 778,7 euro per un impiegato tipo (seconda area, fascia 3); arriverà a 845,7 euro per i funzionari (terza area, fascia 1) e salirà fino a 1.516,4 euro per i dirigenti di seconda fascia e a 1.939,7 euro per quelli di prima.
Nella scuola, che con i suoi 1,2 milioni di dipendenti è di gran lunga il comparto più popoloso della Pubblica amministrazione, le cifre dipenderanno dall’anzianità oltre che dal ruolo. Un professore delle superiori riceverà 829,2 euro se è in cattedra da meno di otto anni, mentre ne avrà 1.228,1 se la sua prima lezione si è tenuta fra i 28 e i 34 anni fa. Analoga la dinamica alle secondarie di primo grado dove si va da 829,2 a 1.168 euro e alle scuole dell’infanzia e primarie (da 765,6 a 1.056,2).
Nella sanità, invece, la replica del sistema degli anticipi porterebbe 657,6 euro a un operatore di base, 1.053 euro a un infermiere specializzato (Ds 3) e 1.516,4 a un medico. Cifre non trascurabili in un panorama di stipendi pubblici che, lontano dalla dirigenza, come certifica l’Aran, non arriva in media a 33mila euro lordi annui nei ministeri e si attesta a 36.500 euro nella scuola.