
Se si mettesse a terra il Pnrr, il Sud farebbe segnare un balzo significativo del suo Pil e, entro il 2025, avrebbe gli stessi ritmi di crescita del Centro-Nord. A sottolinearlo è la Svimez nelle sue anticipazioni del rapporto 2023. Per quest’anno, la stima che fa l’istituto della crescita italiana è dell’1,1% con il Mezzogiorno al +0.9% e il resto del Paese all’1,2%. Ma con la piena efficienza del Piano, il Sud già nel 2023 potrebbe far segnare un +1,4% e il Centro-Nord un +1,6%. In seguito, poi, il contributo aggiuntivo del Pnrr tenderebbe ad aumentare più al Sud con i suoi ritmi di crescita del 2024-2025 stimati al di sopra della media delle regioni centro-settentrionali.
Luca Bianchi, il direttore di Svimez, ha sottolineato l’importanza del fatto che, dopo lo shock causato dalla pandemia, il Sud abbia agganciato la ripresa facendo segnare tassi di crescita sostanzialmente in linea con il resto del Paese. In effetti, già la performance del 2022 è stata buona con un Pil che nel Mezzogiorno è aumentato del 3,5% a fronte di una media nazionale del 3,7% e perfettamente in linea con quanto registrato in Europa (anch’essa al +3,5%). Cumulativamente, invece, facendo riferimento al biennio 2021-2022, il Mezzogiorno è cresciuto del 10,7% contro il +11% del Centro-Nord.
Sta di fatto che, se si allarga l’orizzonte andando indietro fino al 2008, il Pil meridionale rimane indietro di 7 punti. Questo a causa della lunga stagione di ampliamento dei divari territoriali nel decennio pre-pandemia.
I dati Svimez sono stati commentati, infine, anche dal ministro agli Affari Europei Raffaele Fitto: secondo lui, lasciano intendere grandi potenzialità ma anche rischi per il Mezzogiorno. Le prime vanno accompagnate, mentre i secondi vanno evitati con interventi di riprogrammazione che il Governo sostiene di star portando già avanti. Una mossa quanto mai auspicabile se si tiene conto che al Sud ancora ci sono 460mila laureati in fuga verso il Nord e un salario su 4 è sotto i 9 euro lordi l’ora.