
“Negli ultimi decenni la partecipazione femminile al mercato del lavoro è aumentata, ma tutt’ora il gap rispetto agli uomini è marcato e il nostro Paese si colloca ancora ai margini della classifica europea per partecipazione delle donne nel mondo del lavoro”. E’ questo l’incipit del rapporto di Save the Children intitolato “Le equilibriste” e reso pubblico in vista della Festa della mamma di domenica prossima. Si tratta di un lavoro basato su dati Istat e che disegna uno scenario ancora troppo fosco per chi è chiamato a conciliare le responsabilità di una famiglia a quelle professionali. In più, in tutto il Paese, persistono dei fenomeni, come le dimissioni forzate, che rendono difficilissimo la difesa del posto di lavoro, senza dire che è soprattutto laddove i servizi pubblici, in primis la presenza di asili nido, sono meno presenti – nel Sud – che si soffre un gap evidente rispetto alle aree più avanzate. Nell’ultimo trimestre, l’occupazione femminile (15-64 anni) è aumentata dell’1% rispetto ad un anno prima, facendo crescere il tasso di occupazione al 52,1% (58,5% tra le 25-34enni e al 66% tra le 35-49enni), mentre per gli uomini è aumentata dell’1,4% portando il tasso di occupazione maschile al 69,4%. Le diseguaglianze nel tasso di occupazione si ripresentano anche nella condizione occupazionale complessiva che per le donne viene definita di “debolezza rafforzata” perchè presenta due fattori di criticità: la forma contrattuale precaria e il tempo parziale. Se complessivamente il part-time rappresenta il 35,6% delle nuove attivazioni contrattuali del 2022, infatti, per le donne, circa la metà delle nuove attivazioni contrattuali sono part time (49%), mentre per gli uomini solo il 26,2%. Sempre il rapporto di Save the Children ricorda che il Covid-19 ha agito su più piani sul mercato del lavoro femminile, colpendo anche le retribuzioni, specialmente delle madri con figli minori: è addirittura doppia la riduzione percentuale dei salari mensili delle madri rispetto a quanto avvenuto per i padri. Le differenze di genere, quindi, si sono accentuate rispetto al periodo pre-pandemico. In ogni caso, come accennato, nelle varie regioni italiane si rilevano situazioni diverse: il divario nella partecipazione al mercato del lavoro divide il Paese tra Nord e Sud e le donne a seconda del loro livello di istruzione. Nel Mezzogiorno, l’occupazione delle donne risulta al 35,3%, tra le più basse in Europa, con ben 23,8 punti percentuali che separano l’occupazione femminile da quella maschile, contro i 13,9 del Nord e i 13,6 del Centro. Al Nord l’occupazione tra le 15-64enni è al 62% e al Centro al 58,3%. Per quanto riguarda l’istruzione, le disuguaglianze sono ancora più ampie: nel 2021, il 30,5% delle donne con al più la licenza media era occupata, contro il 70% delle laureate. Per gli uomini, invece, le percentuali erano rispettivamente del 64% e del 71%. Nel 2022, per le donne di 15-64 anni le differenze nei tassi di occupazione in base al livello di istruzione sono ancora più marcate: tra le laureate lavorano quasi 4 donne su 5 (78,8%) e tra chi ha la licenza media solo il 30,5% (3 su 10), mentre è occupato il 57% delle donne con il solo diploma di scuola superiore. Le differenze di genere si confermano anche dal punto di vista retributivo dando vita al cosiddetto Gender pay gap. Tra i laureati di secondo livello che lavorano a tempo pieno emerge che il differenziale, a cinque anni, è pari al 12,9% a favore degli uomini: 1.799 euro netti mensili rispetto ai 1.593 euro delle donne. Come è intuitivo capire, si pone per le madri più che per le altre donne il tema della conciliazione tra lavoro e organizzazione familiare. Un indicatore importante in questo senso è il rapporto tra tasso di occupazione delle donne di 25- 49 anni con figli in età scolare e donne nella stessa fascia d’età e senza figli: nel 2021, questo rapporto è del 73%, ovvero per ogni 100 donne senza figli occupate ce ne sono 73 con figli in età scolare occupate. Avere figli è particolarmente penalizzante per la partecipazione al mondo del lavoro per le donne con un titolo di istruzione inferiore. Da segnalare, poi, è che una donna su due (52,7%) con figli minori residenti al Sud è inattiva, a mostrare un modello familiare basato sulla divisione tradizionale dei ruoli ancora molto radicato e presente specialmente tra le donne giovani (25- 34 anni) tra cui non lavora e non cerca lavoro il 63,5% con almeno un figlio minore, quasi due donne su tre. L’inattività femminile è prevalentemente dovuta alla gestione della famiglia (35%), mentre lo è in maniera solo marginale per i padri (3%). L’ultima componente da analizzare è quella relativa al tempo di lavoro. Mentre il lavoro a tempo pieno è più diffuso tra gli uomini che tra le donne, per il tempo parziale avviene il contrario. In generale, in Italia, il 93% degli uomini lavora a tempo pieno contro il 68% delle donne, mentre, di conseguenza, solo il 7% degli uomini lavora a tempo parziale, contro il 32% delle donne. Per la metà delle donne che lavora a tempo parziale (16,4%) si tratta di part-time involontario. La percentuale delle donne a tempo parziale aumenta drasticamente tra chi ha figli (37,3%) rispetto alle donne senza figli (24,2%). Tra gli uomini, al contrario, cala dall’8,9% al 5,2% tra chi non ha figli e chi li ha. L’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) dal 2013 propone di utilizzare un ulteriore indicatore per cogliere a pieno le dinamiche lavorative: la sottoccupazione. Essa corrisponde alla misura di quanti dichiarano di lavorare meno di quanto avrebbero potuto o voluto fare, per ragioni indipendenti dalla propria volontà. Ebbene: sono le donne ad avere nel 2021 un maggior tasso di sottoccupazione (11,8% contro il 7,6% degli uomini). L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, infine, ha pubblicato anche per il 2021 la relazione annuale sulle convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri. Dopo una flessione riscontrata durante il 2020, anno pandemico, le dimissioni volontarie ritornano ad aumentare: le convalide complessivamente adottate su tutto il territorio nazionale sono state 52.436. Di queste, 37.662 convalide (il 71,8%) si riferiscono a donne e 14.774 (28,2%) a uomini. Nel 2011, le dimissioni delle madri erano il 97,1% del totale. Ma il problema, evidentemente, è ben lungi dall’essere risolto. Le difficoltà di conciliazione tra lavoro e funzione di cura sono complessivamente il 65,5% del totale delle motivazioni, divise tra le difficoltà connesse alla mancanza di servizi (44%) e il 22% a problematiche legate all’azienda e di organizzazione del lavoro. Solo il 22% fa riferimento a casi di trasferimento ad altra azienda mentre il 4% delle risposte riguarda la distanza del luogo di lavoro. Dal rapporto denominato “Le equilibriste” non sorprende nemmeno sapere che, a tal proposito, a giocare un ruolo centrale sia l’assenza di parenti di supporto.