
Undici raffinerie, la maggioranza al Sud, due al Centro e tre al Nord, due bioraffinerie, cento depositi, 2.700 chilometri di oleodotti, 21.700 punti vendita. Sono i numeri dell’industria della raffinazione in Italia che il tragico incidente avvenuto ieri al deposito di stoccaggio dell’Eni, a Calenzano, nel fiorentino, con 5 morti e 26 feriti, ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica.
Evidenziando l’alta pericolosità che questi impianti presentano, anche per la vicinanza ad aree oggi densamente popolate.
Quello di Calenzano è nell’elenco degli impianti a rischio industriale rilevante. Ce ne sono 975 in Italia e sono sottoposti a controlli stringenti, previsti dalla direttiva europea Seveso, emanata dopo l’incidente avvenuto in Lombardia del 1976.
Intanto, mentre le indagini procedono, per accertare l’esatta dinamica dell’incidente ed individuare eventuali responsabilità, è stato proclamato per oggi uno sciopero con assemblea e presidio davanti alla raffineria Eni di Livorno, da Fim Fiom Uilm Livorno e dal Coordinamento Rsu delle ditte dell’indotto Eni.
“Lo sgomento – dicono i sindacati – è per quei lavoratori e per le loro famiglie, questa è una guerra silenziosa che sembra non finire mai e suscita interesse sempre solo dopo tragedie come questa. La rabbia perché non si può morire lavorando”.