L’Italia si conferma in ripresa, avendo riconquistato il livello di Pil pre-pandemico, ma anche un Paese non molto favorevole per i giovani, con i salari al palo e con forti squilibri territoriali. È quanto si evince dall’ultimo rapporto Istat 2023.
Iniziamo dalla situazione demografica. Nel Bel Paese, al 31 dicembre 2022, si sono contati 58.850.717 residenti, di cui 5.050.257 stranieri. Facendo riferimento al solo biennio 20-21, si sono persi ben 611.000 abitanti. Ci sono 1,24 figli per donna, un valore inferiore a 2,1 per il teorico equilibrio nel ricambio generazionale.
Detto questo, dal 2012 al 2021, sono espatriati 337mila giovani tra i 25 e i 34 anni. Tra chi è rimasto, un quinto tra chi ha tra i 15 e i 29 anni non studia, non lavora e non si forma: è il cosiddetto popolo dei Neet. Non basta: ben il 47,7% di chi ha tra i 18 e i 34 anni mostra almeno un segnale di sofferenza nel campo dell’istruzione, del lavoro, della coesione sociale, della salute, del benessere soggettivo e del territorio. Così si capisce come mettere su famiglia o solo andare via di casa intraprendendo un percorso autonomo sia sempre più difficile.
Sta di fatto che anche chi lavora non se la passa molto meglio: gli stipendi sono al palo e messi a dura prova dall’inflazione. Nei primi 5 mesi dell’anno, le retribuzioni sono cresciute appena del 2,2% a fronte di un caro prezzi in aumento del 9%. Gli italiani, in media, guadagnano circa 3.700 euro all’anno in meno rispetto ai loro colleghi europei e, se si fa un raffronto solo con i tedeschi, esso davvero diventa impietoso: portano a casa oltre 8.000 euro in meno. La retribuzione media annua lorda di un dipendente italiano non arriva a 27.000 euro ed è inferiore del 12% rispetto alla media Ue. Tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde per dipendente è stata del 12%, circa la metà della media europea. Il potere d’acquisto, negli stessi anni, è sceso del 2% mentre negli altri Paesi è salito del 2,5%.
A fronte di questo quadro, il Pil, come accennavamo, in ogni caso dà buoni segnali: è aumentato del 3,7% rispetto all’anno pandemico del 2021 (con la media europea che si è fermata al 3,5%) e anche nel 2023 segna una ripresa dell’1,2% (a fronte di una media Ue dell’1%). Non solo: fa ipotizzare nel 2024 un ulteriore segno più (1,1%). Qual è l’x-factor che lo trascina? Senz’altro le esportazioni, dove si registra anche una maggiore propensione delle grandi imprese con un +13,5%.