
Ora che Donald Trump ha mantenuto una delle sue promesse elettorali facendo scattare i dazi sui nostri prodotti, che effetto avranno sul mondo del lavoro italiano? Questa domanda, ad oggi, ha una risposta ancora non precisissima perché la scelta del presidente americano non comporterà solo un inasprimento dei rapporti economici tra Stati Uniti e Cina, come già visto nel corso del suo primo mandato, ma un vero e proprio cambio di paradigma in tutto il mondo.
Il messaggio, in ogni caso, è chiaro: America First, ancora una volta, ma con più forza. Dazi minimi del 10% su tutte le importazioni e tariffe ben più elevate su sessanta Paesi considerati “sleali” nei confronti del commercio statunitense, tra cui l’Unione Europea. E l’Italia.
L’impatto, quindi: secondo le stime elaborate da Tommaso Monacelli e altri economisti, sarà pesante ma non devastante nel breve periodo. Si tratterebbe di una perdita potenziale di 6-7 miliardi di euro di esportazioni italiane in un anno, pari all’incirca all’1% dell’export totale.
Perché “non devastante”? Perché i prodotti italiani sono spesso difficili da sostituire. Vino, olio d’oliva, formaggi, ma anche macchinari industriali specializzati e farmaceutici, sono beni che gli importatori statunitensi non possono rimpiazzare facilmente.
Questo rende l’impatto immediato più contenuto, ma apre comunque una preoccupazione nel medio-lungo periodo: se i dazi dovessero durare anni, i consumatori e le imprese statunitensi potrebbero trovare alternative, e le imprese italiane perderebbero quote di mercato.
A livello europeo, le previsioni sono più buie. Con un dazio del 20%, l’impatto sull’economia dell’eurozona potrebbe arrivare all’1% del PIL. La Germania, più esposta di noi nel settore automotive, rischia molto, ma anche l’Italia potrebbe soffrire indirettamente: gran parte della nostra componentistica va a finire proprio nelle auto tedesche…