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Perchè occorre una nuova politica industriale

Per salvaguardare il lavoro e il futuro del pianeta non si può continuare a guardare al secolo passato: le tecnologie ce lo permettono. Parola dei bocconiani Enzo Baglieri e Stefano Pogutz

Davanti alle sfide della transizione ecologica è sempre più importante avere una politica industriale sostenibile. Questa mattina, ne hanno parlato Enzo Baglieri, Associate Dean Divizione Master della Sda Bocconi, e Stefano Pogutz, direttore Full Time Mba, sempre della School of Management di Bocconi, sulle pagine di Repubblica.

“Le dichiarazioni finali della Conferenza per il clima di Dubai sono state chiare: dobbiamo uscire dalle fonti fossili entro il 2050 allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni nette. Purtroppo, però – è il presupposto dei due studiosi – nonostante l’Europa abbia supportato anche finanziariamente con il Green Deal una transizione giusta e sostenibile, si è fatto ancora troppo poco per tutelare ambiente e salute”.

Allora, la prospettiva suggerita da Baglieri e Pogutz “è rileggere le condizioni che la scienza e l’Europa ci danno, non più come vincolo, ma come opportunità per lo sviluppo di nuove politiche industriali che possano aiutare il nostro Paese a tornare a crescere grazie a strategie centrate sull’innovazione e sulle specificità delle nostre imprese. Gli eventi geopolitici degli ultimi anni e la volatilità delle catene di forniture globali ci impongono in primo luogo, e indipendentemente dal tema della sostenibilità ambientale, di ridisegnare le catene e di stimolare, anche con misure di sostegno pubblico, il processo di nearshoring , ossia la localizzazione produttiva dei mercati di fornitura del nostro settore manifatturiero in prossimità dei mercati di sbocco. Non parliamo di un futuro che punta alla deindustrializzazione, ma di una nuova industrializzazione”, tengono a precisare i ricercatori della Bocconi.

I quali, a mò di esempio, portano l’intero settore dell’auto: “Oltre il tema della semplice elettrificazione, in primo luogo, sarà necessario ripensare alle potenze medie delle vetture. Gli Sport Utility Vehicle (i cosiddetti Suv) sono diventati il modello dominante nelle nostre città, hanno potenze medie di oltre 70-80 Kw, inutili nei centri urbani. Serviranno norme che ci aiutino a progettare auto più leggere (per migliorare il rapporto peso/potenza), più connesse e più versatili e adattabili al contesto di utilizzo. Ci sarà spazio per innovare sul prodotto, che da oltre 100 anni ha sempre quattro ruote, un motore, cinque posti e un bagagliaio, ma anche sui servizi e sui modelli di business, creando nuove catene di forniture e nuovi network in cui il valore non sia generato dalla concorrenza tra i mezzi, come oggi accade nello sterile dibattito tra piste ciclabili e corsie delle auto, ma nell’integrazione tra mezzi privati e mezzi pubblici, tra auto, bicicletta, scooter, monopattino e tram, autobus, car sharing . E la medesima riflessione va fatta per il trasporto delle merci, per i sistemi di riscaldamento, per la produzione e distribuzione di energia, per la manifattura, per la produzione agricola”.

“Più in generale – riflettono ancora Baglieri e Pogutz – il limite della sostenibilità e della transizione ecologica è in chi continua a difendere un modello di industrializzazione rapace e irresponsabile, che oggi è diventato obsoleto, anti-storico, rivolto al passato e non alle generazioni future. Produrre in maniera più efficiente e sostenibile è possibile; abbiamo le tecnologie e le competenze per poter innovare i sistemi industriali”.

Si potrebbe obiettare che dovremo cambiare anche il modello di consumo? Dalla Bocconi arriva queta risposta: “Riteniamo che il mercato sia molto più maturo, specie nelle nuove generazioni, di quanto lo fosse in passato. D’altra parte, i comportamenti della domanda sono stati sinora il risultato di un’educazione al consumo spasmodico di cui siamo tutti responsabili e che però adesso è il momento di invertire. Non solo per il senso di responsabilità che dovrebbe permeare l’agire economico, ma anche perché così creeremo le condizioni per fare fiorire un’economia nuova, capace di generare e distribuire valore, posti di lavoro, e basata su un modello industriale che guarda avanti, non al secolo passato”.

Baglieri e Pogutz, quindi, concludono così: “Abbiamo la possibilità di decidere il nostro destino, abbiamo le innovazioni tecnologiche e le soluzioni organizzative, ma non dobbiamo cotinuare a sprecare tempo”.

 

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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