
Secondo il report Hays Salary Guide 2025, oltre la metà dei lavoratori italiani è pronta a lasciare il proprio impiego. Il 51% degli intervistati prevede infatti di cambiare azienda (il 47%) o di mettersi in proprio (il 4%), una scelta dettata principalmente dalla mancanza di prospettive di crescita (44%), stipendi insufficienti (43%) e ruoli poco stimolanti (32%). Il 19% individua invece nel proprio manager una delle principali cause di insoddisfazione.
Se sei lavoratori su dieci dichiarano di essere soddisfatti della propria situazione professionale, solo l’8% si definisce completamente felice. Dall’altro lato, un 40% vive una condizione di malessere, che colpisce in particolare donne e over 50, spesso i più penalizzati dalle dinamiche aziendali. Questa fascia di lavoratori è «quasi rassegnata», convinta che all’interno della propria azienda non vi siano reali prospettive di crescita, e vede nel cambiamento di impiego l’unica via d’uscita.
Oltre alla retribuzione, sempre più lavoratori valutano altri aspetti prima di accettare un nuovo impiego. Il 49% degli intervistati indica i benefit come uno degli elementi più rilevanti nella scelta, seguiti da ruoli e progetti stimolanti (43%), ambiente di lavoro adeguato (43%), smart working (42%) e opportunità di crescita professionale (38%).
Attualmente, quasi il 70% dei lavoratori riceve qualche forma di benefit, tra cui buoni pasto, flessibilità lavorativa e copertura sanitaria privata. Tuttavia, i più richiesti sono lo smart working (53%), l’auto aziendale (46%) e l’assicurazione sanitaria (35%). Le preferenze variano a seconda dell’età e del genere: i giovani e le donne prediligono la possibilità di lavorare da remoto, mentre gli over 50 sono più attratti dai benefit materiali come l’auto aziendale.
L’indagine, poi, mette in evidenza un’altra problematica diffusa: l’incapacità di bilanciare vita privata e lavoro. Questo si riflette nella crescita dei “job creeper”, coloro che non riescono mai a staccare completamente dalle attività professionali, e nella stabilità della quota dei “quiet quitter” ossia chi svolge il minimo indispensabile, senza particolari slanci o coinvolgimento emotivo.