
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha richiesto al CNEL un documento di osservazioni e proposte in materia di salario minimo in vista della prossima legge di bilancio, evidenziando la complessità del tema. Il dibattito tra forze sociali ed esperti è polarizzato e non esistono conclusioni chiare su tutti gli aspetti del problema, compreso l’effetto sul sistema economico e produttivo e sulla finanza pubblica.
La Commissione dell’informazione del CNEL ha deciso di adottare un metodo di lavoro che distingue la fase di analisi dalla fase di proposta, focalizzandosi esclusivamente sul salario minimo. Si fa riferimento alla Direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022, che fornisce punti di riferimento prioritari per inquadrare il problema e formulare conclusioni e proposte.
Il CNEL ribadisce la complessità delle cause del lavoro povero e la necessità di una visione d’insieme, collegando il salario minimo alla questione salariale e alla produttività. La centralità della contrattazione collettiva viene sottolineata come meccanismo di autogoverno delle dinamiche del mercato del lavoro.
Il CNEL considera fondamentale una sintesi ragionata dei dati, informazioni e rilievi contenuti nei documenti disponibili per avanzare nel dibattito e contribuire alla formulazione di conclusioni e proposte utili per il Governo e il Parlamento.
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La direttiva europea sui salari minimi adeguati non impone agli Stati membri l’obbligo di fissare per legge il salario minimo adeguato o un meccanismo vincolante per l’efficacia generalizzata dei contratti collettivi. La direttiva enfatizza la preferenza per la soluzione contrattuale rispetto a quella legislativa nel miglioramento dell’accesso dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo.
La direttiva pone un’enfasi particolare sul “tasso di copertura” della contrattazione collettiva, cioè la percentuale di lavoratori coperti dai contratti collettivi. Se il tasso di copertura è inferiore all’ 80%, gli Stati membri devono prevedere un quadro favorevole alla contrattazione collettiva per legge o mediante accordo con le parti sociali e un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva.
Nel caso in cui non esista un sistema di contrattazione collettiva adeguato, gli Stati membri possono introdurre un salario minimo di legge con procedure per la sua determinazione e l’aggiornamento, evitando una diminuzione del salario minimo legale.
La direttiva fornisce valori di riferimento indicativi come il 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio nel caso di adozione di un salario minimo legale.
Altri elementi chiave considerati dalla direttiva includono la riduzione degli oneri sulle piccole e medie imprese, la tutela dei lavoratori nei contratti pubblici, la trasparenza dei salari e la necessità di monitoraggio e vigilanza efficaci.
La Commissione dell’informazione ritiene fondamentale prestare attenzione al tasso di copertura della contrattazione collettiva, ai meccanismi di estensione dei contratti collettivi, all’estensione e diffusione del lavoro irregolare, agli impatti sugli appalti pubblici, alla trasparenza dei salari e ai differenziali retributivi territoriali, nonché alle condizioni di lavoro dei giovani, donne e stranieri.
La Commissione dell’informazione del CNEL è responsabile della raccolta e dell’analisi dei dati relativi alla contrattazione collettiva e alle retribuzioni. Tuttavia, sono emerse diverse criticità nella base informativa attualmente disponibile, che diventano particolarmente rilevanti nel contesto del dibattito sul salario minimo e in risposta agli obblighi imposti dalla direttiva europea sui salari minimi adeguati.
Le criticità principali includono:
Assenza di dati sull’impatto del salario minimo legale: Non ci sono dati che consentano una valutazione dell’impatto di un salario minimo legale sulle imprese e sul sistema produttivo, specialmente sulle micro e piccole imprese e sugli appalti di servizi pubblici.
Disallineamento tra sistemi informativi: Il sistema informativo Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro non è allineato con il sistema della banca dati CNEL-INPS per quanto riguarda i “codici contratto”, creando confusione.
Incomparabilità dei dati retributivi: Ci sono problemi di comparabilità tra le tariffe nominali (legali o contrattuali) di determinazione del salario minimo e i dati effettivi della massa salariale percepita dai lavoratori, utilizzati da ISTAT per valutare l’impatto di un salario minimo legale.
Incoerenza nelle definizioni delle retribuzioni: Le diverse definizioni delle retribuzioni nei contratti collettivi complicano la lettura comparata dei testi contrattuali, creando confusione nella valutazione dei salari minimi.
Necessità di una sede condivisa: La Commissione dell’informazione sottolinea l’urgenza di creare una sede partecipata da tutti gli attori istituzionali interessati per evitare disallineamenti nei dati e nelle conclusioni.
Complessivamente, la Commissione auspica una maggiore informatizzazione, miglior fruibilità e capacità di lettura dei contratti, nonché una collaborazione continua tra le parti interessate per garantire informazioni complete e condivise su questioni cruciali per la definizione delle politiche economiche e sociali.
Il tasso di copertura dei contratti collettivi nazionali di lavoro in Italia è molto alto e si avvicina al 100%, superando ampiamente il parametro dell’80% richiesto dalla direttiva europea. Questo significa che la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti in Italia è coperta da contratti collettivi.
I dati a disposizione indicano che il contratto collettivo è applicato al 95% dei lavoratori dipendenti in Italia. Queste informazioni sono estratte dalle denunce mensili fatte dai datori di lavoro all’INPS attraverso il flusso Uniemens, che copre quasi tutti i settori del lavoro privato, ad eccezione dei lavoratori agricoli e domestici. Inoltre, c’è un ulteriore 4% di lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici per i quali non è specificato quale contratto collettivo viene applicato.
Tuttavia, resta un 1% di lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi agricoltura e lavoro domestico, per i quali non si conosce il contratto collettivo applicato. Questa lacuna è in parte attribuibile al processo di inserimento di nuovi codici nel flusso Uniemens, che può richiedere alcune settimane, durante le quali i datori di lavoro utilizzano un codice generico. Ci possono anche essere casi di datori di lavoro che, pur applicando un contratto depositato al CNEL, continuano a utilizzare il codice generico.
È importante sottolineare che queste informazioni sono basate su dichiarazioni dei datori di lavoro e sono possibili grazie alla collaborazione tra CNEL e INPS. Inoltre, sia Banca d’Italia che ISTAT hanno confermato che la copertura dei contratti collettivi in Italia è estremamente ampia, con il 98% dei lavoratori dipendenti del settore privato regolarmente coperti secondo i dati dell’INPS-Uniemens.
In sintesi, l’Italia soddisfa pienamente i requisiti della direttiva europea in merito alla copertura della contrattazione collettiva, con la quasi totalità dei lavoratori dipendenti coperti da contratti collettivi nazionali di lavoro.
Il rapporto affronta la questione del tasso di copertura dei contratti collettivi nazionali di lavoro in Italia, rispetto agli obblighi imposti dalla direttiva europea. Il tasso di copertura si avvicina al 100%, superando ampiamente l’80% richiesto dalla direttiva, il che significa che la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti in Italia è coperta da contratti collettivi.
Tuttavia, ci sono alcune criticità informative da considerare:
Mancato Allineamento dei Sistemi Informativi: Il sistema informativo delle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro non è allineato con il sistema della banca dati CNEL-INPS per quanto riguarda i “codici contratto.” Questo può influire sulla corretta registrazione dei contenuti economici dei contratti collettivi.
Conoscenza Limitata delle Voci Retributive: Non è possibile conoscere la reale applicazione di tutte le voci retributive oltre ai minimi tabellari/paga base. Questo è importante perché alcune di queste voci contribuiscono a definire il concetto di salario minimo adeguato previsto dalla direttiva europea.
Settori Critici e Organizzazioni Diverse: Alcuni settori, come il lavoro agricolo e il lavoro domestico, hanno modelli di organizzazione del lavoro che comportano l’applicazione di contratti collettivi diversi da quelli del settore di appartenenza, rendendo difficile la misurazione del tasso di copertura.
Parasubordinazione e Tirocini Formativi: Esistono casi di “parasubordinazione” e abusi di tirocini formativi extracontrattuali che sfuggono alla contrattazione collettiva, creando situazioni di lavoro irregolare e economia sommersa.
Per quanto riguarda l’adeguatezza dei trattamenti salariali previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, si osserva che il sistema di contrattazione collettiva in Italia tende a concentrarsi su nuove forme di distribuzione del valore economico del contratto, come la produttività, la flessibilità organizzativa e il welfare contrattuale, anziché sul minimo tabellare. Se si volesse stabilire un parallelo tra le tariffe contrattuali e una tariffa legale, i parametri suggeriti dalla direttiva europea indicano che il 50% del salario medio e il 60% del salario mediano dovrebbero essere valorizzati.
Le criticità principali riguardano i ritardi nei rinnovi contrattuali, che interessano circa il 54% dei lavoratori dipendenti del settore privato. Tuttavia, non sempre il ritardo indica un’inefficienza nella determinazione del salario, poiché molti contratti contengono meccanismi di adeguamento ai cambiamenti economici. Inoltre, il sistema di contrattazione collettiva italiano si discosta dalla tariffa oraria.
Infine, il rapporto sottolinea che la tipologia contrattuale utilizzata, come il lavoro temporaneo o a tempo parziale, contribuisce alla dispersione dei redditi da lavoro dipendente, con un’incidenza significativa nei settori più vulnerabili, come il lavoro stagionale o a termine. Inoltre, le differenze retributive si verificano anche in base al genere, all’età e all’area geografica, il che solleva l’importanza di considerare approcci differenziati per il salario minimo in base a queste variabili.
Il fenomeno della “contrattazione pirata” si riferisce ai contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali poco rappresentative o sconosciute. Questi contratti contengono spesso condizioni economiche e clausole normative sfavorevoli per i lavoratori e la concorrenza tra le imprese rispetto ai contratti collettivi qualificati dalla rappresentatività dei soggetti firmatari. Nonostante l’uso comune del termine, non esiste ancora un criterio condiviso per classificare un contratto collettivo come “pirata” o “non pirata”.
L’archivio nazionale dei contratti collettivi depositati presso il CNEL fornisce alcune informazioni utili per comprendere questo fenomeno. Ad esempio, si può sapere quanti datori di lavoro dichiarano di applicare un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro e quanti lavoratori sono coperti da tali contratti. Tuttavia, i sindacati rappresentati al CNEL, come CGIL, CISL e UIL, firmano la maggior parte dei contratti (96,5% dei lavoratori) rispetto ai sindacati non rappresentati (0,4% dei lavoratori).
In generale, il fenomeno della contrattazione pirata sembra essere marginale nella maggior parte dei settori produttivi, ma potrebbe avere un impatto significativo in alcune aree geografiche e settori specifici. La Commissione dell’informazione sottolinea la necessità di un piano di azione nazionale per sostenere la contrattazione collettiva come risposta ai problemi salariali e alla produttività, indipendentemente dalla decisione di introdurre o meno un salario minimo per legge. Questo piano dovrebbe promuovere l’armonico sviluppo della contrattazione collettiva e migliorare l’efficacia dell’applicazione delle normative esistenti sui salari minimi.