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È giusto che ad assumere siano gli algoritmi?

Mentre si festeggiano i vent'anni di Facebook, se lo sono chiesti proprio negli Usa. Una ricerca della Cornell University

Ieri Facebook ha festeggiato i suoi primi 20 anni. E, in occasione di questa celebrazione, i giornali stanno indagando su come i social network e gli algoritmi in generale impattano anche sul mondo del lavoro. Lo ha fatto, ad esempio, Laura Carrer su Wired evidenziando che “in un recente articolo, il quotidiano statunitense Wall Street Journal racconta il fallimento di una legge significativa per i tempi che corrono. Sei mesi fa a New York è stata introdotta la prima normativa nazionale che impone alle società che assumono dipendenti per conto di altre realtà di rivelare il modo in cui gli algoritmi influenzano la scelta di un candidato. Il fine è quello di prevenire potenziali pregiudizi razziali, di genere, o discriminazione non prevista. Una buona notizia, soprattutto per coloro che sostengono da tempo la necessità di una maggiore trasparenza dei sistemi che più impattano sulla nostra vita quotidiana e lavorativa – ha fatto presente la giornalista – Tanto più che nell’ultimo anno sono state numerose le voci di persone in cerca di lavoro che raccontano di frustrazione e di sistemi di assunzione automatizzati che li tagliano fuori dal mondo del lavoro per ragioni a loro sconosciute”.

Ma, al netto di questo, la legge 144 ha funzionato?

Più no che sì secondo Carrer che cita i ricercatori della Cornell University. Questi ultimi, infatti, hanno evidenziato che su quasi 400 datori di lavoro analizzati solo 18 avevano pubblicato le informazioni richieste. Che, tra l’altro, comprendono anche le modalità alternative attraverso le quali i candidati possono essere selezionati.

In più, paradossalmente, i ricercatori “hanno lamentato una grande difficoltà nel reperire i documenti relativi agli audit, ovvero l’insieme delle attività che misurano la conformità o meno di alcuni processi aziendali alla normativa. Un paradosso, insomma, se pensiamo che la legge riguarda la trasparenza. Il bilancio, alla fine, non è dei migliori”, ha fatto presente l’analista.

Fatto sta che, secondo lei, “da un certo punto di vista, il risultato era però prevedibile perché la legge offre ai datori di lavoro una discrezionalità quasi illimitata nel decidere se rientrano nell’ambito della norma o meno. L’applicazione della legge è prevista solo nei confronti di quelle aziende i cui strumenti assistono o sostituiscono in modo sostanziale il processo decisionale umano. Ecco che quindi molte società sono riuscite a sfuggire a questa definizione”.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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