
E’ nato prima l’uovo o la gallina? Nel mondo del lavoro italiano, questa domanda potrebbe benissimo trasformarsi in questa: sono nati prima gli stipendi povero o la bassa produttività? Nei giorni scorsi, ha cercato di rispondere a questa domanda Andrea Garnero, economista del lavoro presso la Direzione per l’Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali dell’OCSE a Parigi.
“L’Italia – ha argomentato sulle pagine de La Stampa nonché in un libro scritto con Roberto Mania “La questione salariale” – non ha mai avuto così tanti lavoratori dipendenti come in questi anni. Tuttavia, c’è un problema: si chiama questione salariale. I dati dell’Organizzazione internazionale del Lavoro mostrano il gap che si è creato dalla crisi finanziaria del 2008. Ma le radici della questione salariale sono più profonde e risalgono almeno agli anni Novanta. Se estendiamo lo sguardo e consideriamo i redditi da lavoro annuali nel loro complesso, dal 1991 al 2023, in Italia, sono scesi del 3,4% in parità di potere d’acquisto mentre in Francia, Germania e Spagna sono aumentati del 30,9%, 30,4% e 9,15%rispettivamente. Questo tema riguarda sia il lavoro povero (nel 2023, il 9,9% degli occupati era povero rispetto a una media Ue dell’8,3%) sia la fascia medio-alta”.
“In Italia – ha continuato Garnero – esistono poche posizioni dirigenziali e sono pagate meno che altrove e su di esse incombe il grosso della tassazione (il 75% delle imposte sono pagate da quel 25% di contribuenti che guadagna più di 29mila euro, non proprio dei Paperoni). Inoltre, la questione salariale si intreccia con un’altra grande questione italiana: il blocco della crescita della produttività, che è il principale motore della crescita economica”.
Qui Garnero mette il dito nella piaga, evidentemente: ” Nel 1995, il livello della produttività oraria del lavoro aveva addirittura superato quello degli Stati Uniti. Poi, a metà degli anni Novanta, l’Europa ha cominciato a decelerare rispetto agli Stati Uniti e l’Italia, a sua volta, si è allontanata notevolmente dal resto d’Europa.”
Le “occasioni mancate”, ha ricordato Garnero citando Michele Salvati, risalgono già alla fine del miracolo economico, a metà anni Sessanta. Ma è negli anni Novanta che tutti i nodi sono venuti al pettine.
“Ci siamo concentrati sulla difesa dell’esistente senza sfruttare le potenzialità che si stavano aprendo. Le cause sono molteplici e ampiamente note: l’inefficienza della pubblica amministrazione , la carenza di adeguate infrastrutture fisiche e digitali, la diffusione eccessiva delle micro o piccole imprese e la loro scarsa managerializzazione, i ritardi nei processi di formazione scolastica e di apprendimento continuo, la debolezza della contrattazione di secondo livello. Ma le cause – ha sottolineato Garnero – sono anche da ricercare in una narrativa diffusa che ci ha portato a credere che “il turismo è il petrolio dell’Italia” o “l’edilizia è il motore della crescita” o nel consolatorio slogan “piccolo è bello”. Ovviamente, ci sono eccezioni notevoli che fanno del nostro Paese ancora la seconda manifattura europea, ma non bastano a trascinare il resto dell’economia”
L’altro tema su cui si focalizza Garnero è quello del lavoro la frammentazione con contratti part-time o a tempo determinato nonché il modello di contrattazione collettiva introdotto nel 1993 sono da ricedere secondo lui.
“L’idea di una contrattazione su due livelli, con il secondo incaricato di redistribuire la produttività, si è scontrata con la fine dei guadagni di produttività. E oggi il sistema fatica ad adattarsi alla moltiplicazione degli attori e a garantire aumenti salariali adeguati”.
Allora: nasce prima l’uovo o la gallina? Non ci sono soluzioni semplici, secondo Garnero. Tuttavia, si potrebbe provare “a promuovere la crescita dimensionale delle imprese”, si potrebbe combattere il lavoro irregolare aumentando il numero di ispettori e facendo un uso migliore dei dati in possesso delle amministrazioni per identificare casi sospetti. Bisognerebbe, pi, aumentare le competenze dei lavoratori e, con le loro, quelle dei manager. Il sistema fiscale, poi, “necessita di un riordino generale e la stessa cosa andrebbe fatta per il sistema di trasferimenti sociali”.
Infine, Garnero raccomanda di sostenere la contrattazione tra sindacati e imprenditori e di dare l’ok al salario minimo in quei settori in cui la contrattazione ormai ha difficoltà ad avere un impatto tangibile:
“Non esiste una via legislativa allo sviluppo – conclude Garnero – Tuttavia, l’insperato dinamismo del marcato del lavoro negli anni successivi alla pandemia dimostra che non siamo condannati alla stagnazione”.