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Se state male quando non lavorate, attenti a finire preda del workaholism

E' la tendenza ad impegnarsi eccessivamente in modo compulsivo ma senza grandi risultati. Ne soffrono soprattutto i Millennials

Soprattutto quando si è giovani, è difficile avere un rapporto equilibrato con il proprio lavoro. Secondo uno studio di HR trend & salary survey del 2022, il 36% degli under 34 si impegna nel campo professionale il minimo indispensabile, preda del cosiddetto quiet quitting (abbandono silenzioso). Sta di fatto che, stando invece a una ricerca di Forbes, il 66% dei Millennials soffre di quello che potremmo definire il fenomeno opposto: il workaholism, il troppo attaccamento al lavoro. Insomma: come l’alcol o il gioco d’azzardo, anche un impiego può creare dipendenza. Leggere per credere i seguenti dati: il 32% degli under 34, complice i dispositivi come portatili e smartphone, ha ammesso di lavorare anche quando è in bagno; il 63% di essere produttivo anche quando ufficialmente in malattia; il 70% anche nei fine settimana. Insomma, chi è nato a cavallo del Duemila, o prende il lavoro con le pinze o ne è totalmente immerso. Anche se l’essere dipendenti dal lavoro può causare problemi gastrointestinali, mal di testa, emicrania, aumento o perdita di peso, irritabilità e stanchezza. Non a caso, il workaholism rientra tra le new addiction, vale a dire le nuove forme di dipendenza senza sostanza. Per intenderci: fanno parte di questo gruppo anche lo shopping compulsivo o la dipendenza dal sesso. Eppure c’è da fare una distinzione fondamentale. Il work engagement, infatti, è considerato uno stato psicologico positivo perché caratterizzato da molta disponibilità, impegno, benessere e creatività di fronte al lavoro. Il workaholism, invece, è uno stato psicologico ossessivo-compulsivo che porta ad essere una sola cosa col proprio lavoro, tanto da avvertire la necessità di aumentare continuamente la sua dose per soddisfarsi. Ma se il work engagement comporta energia, dedizione, identificazione al lavoro, il workaholism conduce paradossalmente a scarse performance e a stress negativo. Ci sono segnali della dipendenza da lavoro? Il Department of Psychosocial Science dell’Università di Bergen li ha elencati: lavorare volontariamente per più di 8 ore al giorno, anche nei weekend e in vacanza. Tendenza a non fruire di ferie e permessi anche quando si sta male. Fatica a staccare, anche psicologicamente, dal lavoro. Avere costantemente preoccupazioni inerenti la professione. I segnali della dipendenza da lavoro, inoltre, sono mancanza di hobbies e interessi al di fuori di esso; tendenza a pensare al lavoro anche prima di dormire con conseguente sonno disturbato; tendenza a trascurare i propri bisogni. Ma perché si diventa così attaccati al lavoro? Sostanzialmente, per educazione quando siamo cresciuti in famiglie dove riconoscimento e affetto arrivavano in base ai risultati scolastici ed extrascolastici. Per tratti della nostra personalità, quando si è molto ambiziosi e perfezionisti: l’autostima personale, in questo caso, è legata solo al successo lavorativo. Infine, per il clima aziendale, in particolare quando porta a credere che fare straordinari e lavorare nel tempo libero sia indispensabile per fare carriera. Il problema è che quando si è workaholic la divisione tra vita privata e lavoro non esiste più. E anche una certa cultura sociale, la cosiddetta hustle culture per dirla col politologo Nick Srnicek, ci mette lo zampino perché impone come unica via per avere successo quella di rendere al massimo nel lavoro ogni giorno.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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