
Ieri, mercoledì 19 marzo, John Elkann presidente di Stellantis, ha tenuto un’audizione in Parlamento, davanti alle commissioni riunite sulle attività produttive di Camera e Senato. Era un appuntamento molto atteso data la crisi del settore dell’automotive e dopo le dimissioni dell’amministratore delegato Carlos Tavares. Elkann, nei mesi scorsi, aveva rifiutato l’invito di parlare a Roma. Poi ha cambiato idea.
Tanti, in effetti, erano i temi sul tavolo. In primis, il fatto che, per Stellantis, nato nel 2021 dalla fusione tra Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e Groupe Psa, il 2024 “non è stato un anno di cui si può essere orgogliosi”, ha sottolineato dallo stesso Elkann.
I ricavi netti del gruppo si sono fermati a 156,9 miliardi di euro, il 17% in meno del 2023, con consegne in picchiata del 12% a livello globale. Ed è crollato anche l’utile netto: è sceso del 70%, a 5,5 miliardi di euro. A soffrire all’interno del gruppo è stata soprattutto Maserati, che ha registrato una flessione dei ricavi del 55,5% a 1,04 miliardi di euro (da 2,335 miliardi nel 2023), con il 57,5% in meno di vetture consegnate rispetto all’anno precedente.
Sta di fatto che non c’è una svolta positiva nemneno nei primi mesi del 2025. Le immatricolazioni del gruppo Stellantis sono 83.476, in calo del 15% sullo stesso periodo di un anno fa. La quota di mercato è scesa dal 33,9% al 30,7%. Difficoltà che si rientrano nel più ampio quadro della crisi di tutto il comparto dell’automobile, stretto fra una domanda costantemente in calo, le nuove regole europee sull’inquinamento e la concorrenza cinese, forte soprattutto sull’elettrico. A questo vanno aggiunte le pressioni legate alla politica dei dazi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
John Elkann ha dimostrato di guardare comunque con fiducia all’anno in corso. “Le nostre priorità sono crescita e redditività, vogliamo che i profitti crescano e che poi si trasformino anche in cash”, ha detto. Per questo, per il dopo Tavares, si guarda a “un leader che capisca di finanza e di tecnologia e che sappia lavorare in modo unitario con gli azionisti e con gli stakeholders”.
A dicembre 2024 Elkann ha presentato al governo il “Piano Italia” di Stellantis. Prevede 2 miliardi di euro per gli stabilimenti e 6 miliardi in acquisti da fornitori italiani, mettendo al centro delle strategie il Paese e la città di Torino, con l’impegno a non chiudere fabbriche e a non licenziare lavoratori.
All’ultimo tavolo sull’automotive, Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy, ha parlato di “un significativo cambio di rotta” di cui sono “evidenti segnali” la nuova produzione dei cambi per le auto ibride a Termoli e l’anticipo a novembre 2025 dell’avvio della produzione della 500 ibrida a Mirafiori. Sempre a Torino sono state spostate la sede di Stellantis Europa e quella dell’unità “pro one” dei veicoli commerciali, mentre nel 2027 riaprirà la storica palazzina degli uffici. Sono stati assunti anche cento giovani ingegneri. Mancano, però, ancora tasselli importanti, a partire dal rilancio della Maserati e dal progetto della gigafactory di Termoli (Campobasso) ancora sospeso.
E i sindacati come l’hanno presa? Da tempo le organizzazioni dei lavoratori denunciano la situazione che penalizza i lavoratori. “Pagano i dividendi mentre i lavoratori italiani sono da più di dieci anni in cassa integrazione perché non ci sono investimenti in ricerca, sviluppo e produzione. Le scelte compiute negli anni dall’amministratore delegato Tavares e condivise dalla proprietà di Stellantis sono state fallimentari e il conto lo paghiamo noi come lavoratori e come Paese”, ha detto Michele De Palma, segretario generale della Fiom.