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La dura vita degli stagisti in Italia

Il dieci novembre si è celebrata la loro Giornata internazionale. Ma se anche in Parlamento continuano a non essere pagati, c'è ancora tanta strada da fare per i loro diritti

Il dieci novembre si è celebrata la Giornata internazionale degli stagisti, una ricorrenza nata nel 2014 per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla precarietà dei tirocinanti. In Italia, nonostante non sia affatto semplice far entrare i giovani nel mondo del lavoro (vedi qui), gli stage curriculari, quelli inseriti all’interno di un ciclo di studi, continuano a non prevedere un rimborso spese minimo o alcun tipo di retribuzione obbligatoria.

Questo tipo di tirocinio, nel nostro Paese, non è da considerare come un normale contratto di lavoro. Si instaura un rapporto tra il tirocinante e il soggetto che lo ospita, mediato dall’ente intermediario (di base l’Università). Gli stage extracurriculari, invece, consistono in un periodo di formazione e orientamento nei luoghi di lavoro. E, in questo caso, si parte da un’indennità minima di 300 euro lordi a livello nazionale, che si alza in alcune regioni. Ma, anche in questo caso, la dura realtà è che non sempre vengono pagati.

A fronte di questa situazione, dove persiste addirittura l’esempio negativo supremo della Camera dei Deputati dove gli stagisti lavorano gratis, molti giovani, negli ultimi anni, stanno ribadendo l’importanza di stabilire un compenso minimo per tutti gli stage. Chiedono, in pratica, che vengano considerati alla pari del lavoro.

L’Unione Europea si è schierata dalla loro parte con una risoluzione del febbraio 2022: il Parlamento europeo ha condannato “la pratica dei tirocini non retribuiti quale forma di sfruttamento del lavoro dei giovani e una violazione dei loro diritti”. Per lo stesso documento, però, non sono passati gli emendamenti che chiedevano di “vietare in modo effettivo e applicabile i tirocini e gli apprendistati non remunerati”. Se, in ogni caso, l’Unione Europea si dice formalmente a favore dell’abolizione dei tirocini non retribuiti, comunque, quindi, non riesce a mettere d’accordo le parti per vietarli effettivamente nei Paesi membri.

Ma quali sono le ragioni di chi difende gli stage non pagati? La prima risiede nel fatto che i tirocinanti acquisiscono comunque più esperienza e maggiori capacità lavorative. Chi si schiera da questa parte sottolinea che bisogna tener conto che, per un’azienda, assumere uno stagista senza esperienza rappresenta inizialmente un costo che solo nel tempo verrebbe eventualmente ripagato. In più, cita un sondaggio di Nace Foundation (anche se datato 2016) per il quale l’85% di chi ha fatto uno stage non retribuito ha comunque dichiarato che gli è servito molto per gli obiettivi di carriera.

Sta di fatto che, in un Paese come l’Italia dove il tasso di disoccupazione giovanile tra i 15 e i 29 anni risulta essere il terzo in Europa (al 18%), bisognerebbe anche riflettere sul dato che non tutti possono permettersi di lavorare gratis. Di conseguenza, rimanendo così le cose, i giovani in condizione precaria saranno sempre costretti a vedere i propri orizzonti restringersi, con sempre meno opportunità.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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