
Avere un lavoro gratificante non significa solo averne uno ben remunerato. Significa anche avvertire l’importanza sociale di ciò che si fa. Sta di fatto che un numero crescente di persone, complice anche l’avvento dell’Intelligenza Artificiale e delle nuove tecnologie (ne abbiamo parlato, tra l’altro, qui), crede di svolgere una mansione totalmente superflua, se non proprio totalmente inutile. Il che non aiuta certo ad amare il proprio lavoro. Ma tant’è: questa è la tesi dell’antropologo David Graeber che, senza tanti giri di parole, l’ha denominata la teoria del “lavoro del cavolo”.
Professore alla London School of Economics nonché già leader del movimento Occupy Wall Street, Graeber è uscito allo scoperto con la sua teoria già cinque anni fa, nel 2018, quando ha dato alle stampe “Bullshit jobs: a theory”. Graeber ha postulato l’esistenza di lavori senza senso e ne ha analizzato i danni per la società. Cinque anni dopo, la sua opera continua a suscitare grande interesse sia accademico che di pubblico.
Ma perché i lavoratori che sentono di avere un impiego senza senso stanno aumentando? Graeber definisce il sistema economico come un “feudalesimo manageriale” che produce un numero elevato e crescente di lavoratori con lavori inutili soprattutto nelle professioni della finanza, della legge e dell’amministrazione.
I lavori del cavolo possono servire solo a far sentire importante un altro. O cercano di vendere cose che nessuno vuole (come quando rispondiamo a un call center). Oppure, ci sono anche lavori che sembrano esistere solo per dar ragione a Kafka: riempire moduli che servono solo a riempire altri moduli o supervisionare il lavoro dei supervisori.
Detto questo, molte persone confondono i lavori inutili con quelli che nessuno vuole fare. Un lavoro, in questo caso, può essere molto poco ambito ma comunque ha un significato: a nessuno piace pulire i bagni pubblici, ma farlo, ad esempio, ha una innegabile utilità. I lavori inutili, invece, sono lavori che il sistema economico ha creato solo per tenerci impegnati in una operazione vana. Tant’è che, di solito, la giornata di questi lavoratori inizia con un pensiero: “Forse dovrei trovarmi un lavoro vero”.