297 visualizzazioni 5 min 0 Commenti

Perché i Paesi ricchi hanno bisogno di immigrati. I casi Corea del Sud e Giappone

Dall'Oriente due esempi di pragmatismo

L’immigrazione è sempre un tema all’ordine del giorno. In Italia, dato il nostro inverno demografico, ne avremmo bisogno di sempre più qualificata. E, magari, per un approccio alla problematica finalmente molto pragmatico e poco ideologico, potremmo prendere esempio dalla Corea del Sud e dal Giappone. In questi due Paesi, ha avuto modo di sottolineare Massimo Nava del Corriere della Sera, i governi stanno adeguando le politiche migratorie alla consapevolezza proprio della vera posta in gioco: le società più ricche e sviluppate devono far fronte a una doppia sfida, il calo demografico e il bisogno di manodopera in tutti i settori, dai più umili ai più specialistici.

La Corea del Sud è stata a lungo riluttante ad accettare lavoratori stranieri. Ma con il tasso di natalità in crisi, il ricorso ai lavoratori immigrati è diventato una questione di sopravvivenza. Al punto che si sta sviluppando una competizione tra Seul e Tokyo per attirarli.

I serbatoi di nuove forze vitali per la società coreana sarebbero ovviamente i Paesi asiatici più poveri, quali ad esempio le Filippine, dai cui provengono da anni importanti flussi verso l’Europa. Ma l’apertura riguarda anche altri Paesi, come il Vietnam, la Cambogia e il Nepal.

Fino ad oggi, i flussi migratori sono stati limitati. Le condizioni per essere riconosciuto come richieente asilo sono molto rigide; in particolare, la formazione del richiedente deve corrispondere esattamente al lavoro in questione.

Il motivo principale per cui il governo ha deciso di introdurre questo nuovo visto, nonostante l’opinione pubblica sia ancora diffidente, è stato il tasso di natalità, che in Corea del Sud sta calando inesorabilmente: il tasso di fertilità totale ha raggiunto un tetto di 0,72: il livello più basso al mondo. Questa situazione, unita all’estrema concentrazione della popolazione in aree metropolitane come Seul, sta facendo crescere lo spopolamento delle aree rurali, dove c’è un’altissima carenza di manodopera.

Ora: è vero che ci vorranno vent’anni per vedere aumentare la popolazione attiva. Ma, nel frattempo, la Corea vuole accogliere i lavoratori stranieri per compensare la carenza e sviluppare la dimensione multiculturale della sua società.

Nel 2004 Seul ha introdotto un sistema di permessi di lavoro per attirare lavoratori stranieri non qualificati. Il numero di persone ammesse nell’ambito di questo sistema è passato da circa 70 mila nel 2022 a 120 mila nel 2023, e quest’anno ha già raggiunto le 165 mila unità. Questo sistema consente ai lavoratori stranieri di soggiornare per un massimo di due periodi di quattro anni e dieci mesi. Se soddisfano determinate condizioni, come l’acquisizione di competenze durante questo periodo, possono ottenere lo status di “personale tecnico qualificato”, che apre la strada alla residenza permanente.

Lo scorso autunno, sono state semplificate le condizioni per l’ottenimento di questo status e la quota di ingresso è stata notevolmente aumentata, passando da 2000 persone nel 2022 a 35.000 nel 2023. Misure che intendono rispondere anche alla sempre più forte domanda di manodopera da parte delle aziende.

In Corea del Sud, come in Giappone, con l’aumento generale dei livelli di istruzione, la maggior parte dei giovani è destinata a lavori impiegatizi. In questo contesto, le fabbriche faticano ad assumere.

Anche il Giappone sta adottando nuove misure per accogliere i lavoratori stranieri al fine di combattere la carenza di personale. A tal fine, il governo ha deciso di creare un visto “formazione-impiego”, sempre con l’obiettivo di aiutare le aziende ad assumere. Un disegno di legge in tal senso è attualmente in discussione in Parlamento. Se adottato, il nuovo sistema consentirà ai lavoratori stranieri che completano un periodo di formazione-lavoro di tre anni, convalidato da un esame, di ottenere un visto per “competenze specifiche di tipo 1”. Uno status più elevato, il “tipo 2”, apre la strada alla richiesta di un permesso di soggiorno permanente – a condizione che siano soddisfatte condizioni più rigorose, in particolare per quanto riguarda la durata del lavoro svolto.

Nel giugno 2023, il governo ha esteso da 2 a 11 il numero di settori coperti da questo visto per “competenze specifiche di tipo 2”. Per il periodo 2024-2028, il numero di visti per competenze specifiche è stato fissato a 820 mila, più del doppio di quelli concessi nei cinque anni precedenti.

Come dire: meglio affrontare il toro per le corna.

Avatar photo
Redazione - Articoli pubblicati: 842

Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

Twitter
Facebook
Linkedin
Scrivi un commento all'articolo