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In Italia i salari peggiori: l’anomalia sottolineata dall’Ocse

Valgono 7,5 punti percentuali in meno rispetto al 2021. Il che conferma una tendenza che va avanti da 25 anni
Salari in picchiata in Italia: l’Ocse li fotografa ad inizio 2025 al -7,5% sul 2021. Sono “anemici” confermando una tendenza che va avanti da 25 anni. Bene le misure del governo per sostenere il potere d’acquisto ma non basta: non servono politiche per le nuove nascite (persone che saranno produttive tra 30 anni) e soprattutto serve l’ingresso di nuova forza lavoro. Tema, quelli del lavoro, che scaldano l’opposizione che sui salari torna ad attaccare il governo.

La fotografia dell’Italia, nel confronto con gli altri principali Paesi industriali, è nell’Employment Outlook 2025 dell’Ocse che fornisce i dati aggiornati ad inizio anno.

Un dato su tutti quello dei salari appunto: “L’Italia ha registrato il calo più significativo dei salari reali tra tutte le principali economie dell’Ocse. Nonostante un aumento relativamente consistente nell’ultimo anno, all’inizio del 2025 i salari reali erano ancora inferiori del 7,5% rispetto all’inizio del 2021, prima dell’impennata dell’inflazione che ha seguito la pandemia da Covid-19”.

“E’ vero che in Italia i salari sono cresciuti molto ma sono sotto al livello del 2021. – spiega Andrea Bassanini, relatore principale del rapporto – A livello di comparazione internazionale non è una situazione lusinghiera: molti paesi Ocse sono andati meglio. La media dei salari reali nell’Ocse ha recuperato, in Italia ancora no. Tra tutti i grandi Paesi l’Italia è sotto in una situazione di salari anemici che precede la crisi del costo della vita. Sono 25 anni che i salari in Italia crescono meno che negli altri Paesi Ocse”.

E gli interventi del governo sul costo della vita? “Se il governo non fosse intervenuto sarebbe stato decisamente peggio. E questo anche perché il problema strutturale italiano è quello della scarsa produttività. Le imprese non possono aumentare i salari più di quanto aumenti la produttività perché in questo modo i profitti diminuirebbero troppo. Gli interventi del governo sono stati utili ma non sono risolutivi. Dunque non si può cantare vittoria”.

C’è anche un problema di rinnovi contrattuali: in Italia, prosegue il rapporto, il “rinnovo dei principali contratti collettivi nell’ultimo anno ha portato ad aumenti salariali negoziati superiori al solito. Tuttavia – precisa l’organismo – questi non sono stati sufficienti a compensare completamente la perdita di potere d’acquisto causata dall’aumento dell’inflazione”.

Nel complesso, prosegue l’Ocse, “la crescita dei salari reali dovrebbe rimanere modesta nei prossimi due anni. I salari nominali (retribuzione per dipendente) in Italia dovrebbero aumentare del 2,6% nel 2025 e del 2,2% nel 2026. Questi aumenti sono significativamente inferiori rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell’Ocse, ma dovrebbero garantire comunque ai lavoratori italiani modesti guadagni in termini reali, dato che l’inflazione dovrebbe raggiungere il 2,2% nel 2025 e l’1,8% nel 2026”. Dunque l’inflazione brucerebbe la gran parte del guadagno.

L’organismo parigino riconosce i record segnati dall’Italia sul mercato del lavoro ma avverte: “Tuttavia, il tasso di occupazione in Italia rimane significativamente inferiore alla media Ocse (62,9% rispetto al 70,4% nel primo trimestre del 2025)”.

Infine: cosa fare per contrastare la riduzione di crescita dovuto alla transizione demografica (che farà si che la popolazione attiva calerà del 34% nel 2060 e il tasso di dipendenza aumenterà significativamente)? “Noi suggeriamo 3 cose – dice ancora Bassanini – lavorare per chiudere il gap di occupazione tra uomini e donne, che in Italia è uno dei più grandi. Chiudere questo gap potrebbe consentire di guadagnare 0,3 punti percentuali di crescita del Pil all’anno. Far lavorare più a lungo gli anziani in buona salute. Raggiungere un tasso di uscita dal mercato del lavoro come quello dei migliori Paesi Ocse consentirebbe di guadagnare altri 0,4 punti percentuali all’anno. Infine, una maggiore apertura alla migrazione regolare e all’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro. Aumentare il tasso di migrazione netta (che in Italia è uno dei più bassi dell’Ocse) consentirebbe di guadagnare ancora quasi 0,2 punti percentuali”.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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