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Cgia di Mestre: “L’occupazione al Sud cresce più che altrove”

Nuovo record di occupazione italiano
Tra il 2022 e il 2024, è la Sicilia che dovrebbe registrare il numero più elevato di nuovi posti di lavoro. Bene anche la Campania

Secondo l’ufficio studi della Cgia, tra il 2022 e il 2024, è la Sicilia che dovrebbe registrare il numero più elevato di nuovi posti di lavoro pari a 133.600 (+10 per cento). Seguono la Lombardia con +125.700 (+2,8 per cento), la Campania con +89.900 (+5,5 per cento), il Lazio con +76.500 (+3,3 per cento) e il Piemonte con 71.600 (+4 per cento).

Tra le quattro ripartizioni geografiche presenti in Italia, il Mezzogiorno – grazie al buon andamento delle esportazioni, delle costruzioni e degli investimenti pubblici correlati al Pnrr – parerebbe registrare l’incremento occupazionale più importante d’Italia, con quasi 350mila addetti in più negli ultimi due anni (vedi Tab. 12). Anche per quanto concerne la contrazione dei disoccupati, sarebbe sempre il Sud la macro area più dinamica del Paese, con una riduzione delle persone che cercano una occupazione pari a 113mila unità.

In valore assoluto a guidare la graduatoria regionale dovrebbe essere la Sicilia con -36.800 disoccupati. Seguono la Puglia con -35.600 e la Lombardia con -34.600. Questi ultimi dati, infine, trovano una ulteriore conferma dall’analisi del tasso di disoccupazione che dovrebbe subire le riduzioni più importanti in Sicilia (-3,1 per cento), in Sardegna (-3 per cento) e in Puglia (-2,6 per cento).

Sta di fatto che questa è la riflessione della Cgia: “In questi primi due anni di governo, i risultati ottenuti in materia di lavoro sono stati certamente positivi, anche se il merito è riconducibile più agli imprenditori che alla politica. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che con una crescita che in questi ultimi due anni è stata molto contenuta, all’aumento dell’occupazione non è corrisposto un incremento altrettanto importante della produttività, almeno nel
settore dei servizi e del terziario. Pertanto, gli stipendi degli italiani, che mediamente sono al di sotto della media europea, non crescono adeguatamente e questo rimane un problema che va “aggredito” rinnovando i contratti nazionali alla scadenza e continuando a tagliare strutturalmente il carico fiscale che grava sugli stessi”.

Non solo: secondo l’associazione di Mestre, “la forte caduta della produzione industriale e il deciso aumento del ricorso alla cassa integrazione non fanno presagire nulla di buono. Se non vogliamo scivolare verso una crisi strisciante che – a seguito delle tensioni geopolitiche, del calo demografico e della transizione digitale e climatica
– avvolge la Germania e in parte anche la Francia, dobbiamo spendere bene e presto i soldi del Pnrr. Con la messa a terra entro il 2026 dei 130 miliardi di euro che abbiamo ancora a disposizione, possiamo dare un contributo importante all’ammodernamento del Paese ed evitare una nuova crisi che, ai più, sembra essere alle porte”.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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