Indicazioni e raccomandazioni di amici, parenti e conoscenti spesso, per trovare un lavoro, possono più di una iscrizione a qualche Centro per l’Impiego o a qualche piattaforma professionale. Lo conferma uno studio dell’Inapp secondo il quale, in media, in Italia, i canali informali si rivelano per il 56% dei casi più efficaci di quelli formali (fermi al 37%).
La mitica raccomandazione, quindi, la fa ancora da padrona essendo il mezzo più veloce e diretto per arrivare a uno stipendio per il 23,3% delle volte. A seguire, sempre tra i metodi informali, ci sono le autocandidature (che aprono la strada del lavoro nel 18,2% dei casi), i contatti nell’ambiente di lavoro (per il 9,5%), il ricorso all’attività autonoma (3%) e, infine, l’iscrizione a qualche app o social network specializzato (1,8%). In tutto, ammontano a ben 4,8 milioni i posti di lavoro sottratti, per così dire, alla intermediazione palese.
Tra i canali formali, invece, le agenzie per il lavoro piazzano solo il 6,4% degli occupati e i Centri pubblici per l’Impiego solo il 4,2%. Meglio, in questa classifica, fanno i concorsi pubblici, attraverso i quali conquista un lavoro il 10% degli aspiranti impiegati. Poi ci sono le offerte di stampa (buone nel 5,8% dei casi), le scuole o le università (5%), le società di selezione (2,8%), gli stage e i tirocini (1,7%) e, infine, i sindacati (1%).
Negli anni, in ogni caso, nella ricerca del lavoro, è cresciuto il peso dell’intermediazione digitale: se nel 2000 era determinante nel 25% dei casi, nel 2021 lo è stato nel 75%.
Infine, un focus sui laureati: per essi, la classifica si ribalta, nel senso che valgono di più i canali formali (nel 38% dei casi) che quelli informali (fermi al 26%). Per loro, chiudono i Centri per l’Impiego col 23%.