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Turismo e commercio, il rischio di sprecare uno sciopero

Le relazioni industriali di questi settori devono cambiare modello

Sgomberiamo il campo da un equivoco: mai uno sciopero fu più giusto di quello proclamato dai sindacati dei settori del commercio, del turismo e della grande distribuzione. Cinque milioni di lavoratori attendono il rinnovo del contratto collettivo e soprattutto l’aumento degli stipendi in un’epoca in cui il costo della vita risulta vertiginosamente aumentato. L’astensione dal lavoro che venerdì scorso ha portato migliaia e migliaia di persone nelle piazze di cinque città italiane, però, rischia di rivelarsi un’occasione sprecata per una più ampia rivisitazione delle dinamiche che caratterizzano settori strategici per l’economia italiana.

Partiamo dalle ragioni della protesta. I lavoratori del commercio attendono il rinnovo del contratto collettivo ormai dal 2015. Il che significa che le retribuzioni di milioni di addetti sono rimaste ferme e a livelli molto bassi. D’altra parte, come ho avuto modo di evidenziare sulle colonne de “L’Edicola del Sud”, tra il 1991 e il 2022, i salari dei lavoratori italiani sono aumentati di un solo punto percentuale a fronte dell’incremento di oltre 32 punti registrato nel resto dei Paesi dell’area Ocse. Nel frattempo, soprattutto in seguito allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, il prezzo dei generi di prima necessità e le tariffe energetiche hanno subito un’impennata. Così gli stipendi dei lavoratori del turismo hanno perso potere d’acquisto e si è arrivati al muro contro muro tra i sindacati, che chiedono l’adeguamento dei salari all’inflazione, e le associazioni datoriali, restie a concedere aumenti perché preoccupate dal crescente costo del lavoro.

Il problema, come Dario Di Vico ha opportunamente osservato sulle pagine del “Foglio”, è che la sfida tra sindacati e associazioni datoriali è da tempo incentrata sull’aumento retributivo, quando settori come commercio, turismo e grande distribuzione sono da tempo al centro di profonde trasformazioni tecnologiche e organizzative. Così si finisce per non discutere, per esempio, di crescita dell’e-commerce o di evoluzione digitale o ancora di intelligenza artificiale e dell’impatto che questi cambiamenti epocali possono determinare sui livelli occupazionali in Italia e, in particolare, nel Mezzogiorno. Il risultato è che dal confronto tra sindacati e associazioni datoriali non emerge un moderno e condiviso assetto di regole utili a far fronte alla modernità e a salvaguardare, se non addirittura a incrementare, la produttività.

Perciò è indispensabile che, nel settore dei servizi, le relazioni industriali cambino sul modello di quanto avviene nel comparto manifatturiero. Qui il confronto tra le parti assicura il costante rinnovo dei contratti collettivi, ma anche innovazioni come il welfare aziendale e la settimana corta. Ma per centrare obiettivi tanto ambiziosi è necessario che anche e soprattutto i sindacati abbandonino visioni miopi e sciatte delle relazioni industriali per adottare strategie non limitate alla trattativa sul salario e quindi in grado di proporre soluzioni alle trasformazioni epocali di cui il settore dei servizi è e continuerà a essere protagonista.

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Direttore Editoriale - Articoli pubblicati: 153

Libero Professionista, impegnato oltre che sul fronte dei servizi e prestazioni connesse al tema della prevenzione degli infortuni in ambienti di lavoro, ha maturato una notevole esperienza nell’ambito delle relazioni sindacali, ed oggi è tra i fondatori di diverse realtà sindacali di carattere Nazionale.

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