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Lavorare 4 giorni a settimana, i Paesi che hanno colto la sfida

L'Italia, sotto l'aspetto normativo, è in ritardo. Ma anche da noi non mancano le prime sperimentazioni a dispetto di un tabù chiamato produttività

Anche in Italia sta prendendo piede il dibattito sull’opportunità di introdurre la settimana lavorativa di 4 giorni. Del resto, la riduzione delle ore di lavoro è una conquista che nel lungo tempo si sta affermando ovunque se si pensa che nell’Ottocento, in tutta Europa, le operaie tessili lavoravano ben 16 ore al giorno. Che nel 1899 ci fu la prima legge che tagliava le ore lavorative a 12. Che nel 1902 la Fiat di Torino le portò a 10. Che nel 1923 un Regio Decreto le fissò a 8 per sei giorni a settimana. E che negli anni Sessanta sono diminuite a 40 ore settimanali con la conquista del sabato libero. Oggi, su quest’onda lunga, c’è chi spinge per rendere anche il venerdì festivo, allungando in tal modo il weekend. Ma come stanno reagendo i vari Paesi davanti a questo tentativo di innovazione? Dall’Islanda alla Spagna, dal Belgio alla Gran Bretagna e alla stessa Italia, in molti stanno già sperimentando la cosiddetta “Four days week”. La prima a muoversi è stata l’Islanda: già nel 2015 ha testato la settimana lavorativa lunga 4 giorni per un ammontare di 35-36 ore. E bisogna dire che i risultati sono stati buoni perchè le imprese hanno registrato una maggiore produttività e ben l’86% dei lavoratori ha scelto questa nuova formula. In Gran Bretagna, già un anno fa, le four days sono state testate da 61 aziende. E anche qui i risultati sono stati eccellenti sia a detta dei datori che dei lavoratori: il 39% di quest’ultimi ha dichiarato di aver ridotto lo stress, il 40% di dormire meglio e il 54% di aver migliorato il rapporto casa-lavoro. In più: il numero di giorni per malattia è crollato di due terzi e le dimissioni del 57%. In Spagna, si è partiti con una sperimentazione lo scorso autunno con l’obiettivo di ridurre a 32 ore spalmate su 4 giorni la settimana di lavoro. Anche in Belgio si conta di avere il weekend lungo ma mantenendo, tramite accordo lavoratore-datore, lo stesso numero di ore lavorate. Dalla Svezia agli Usa, un po’ tutti si sono avviati sulla stessa strada. E in Italia? In assenza di una legge che preveda almeno una sperimentazione generalizzata, l’iniziativa della settimana corta è ancora totalmente in mano alle singole imprese. E, a tal proposito, si segnala il caso di Intesa Sanpaolo, il maggior gruppo bancario del nostro Paese, che ha offerto ai suoi 74mila dipendenti la possibilità del venerdì libero a parità di ore e contemporaneamente di estendere lo smartworking fino a 120 giorni l’anno. Insomma, qualcosa si muove anche da noi. Tanto più che uno studio condotto dall’economista del Boston College Juliet Schor ha dimostrato che, tra gli altri benefit della settimana corta, bisogna conteggiare anche quello ecologico perché una diminuzione del 10% delle ore di lavoro si traduce in un abbattimento dell’8,6% delle emissioni di CO2. Allora, quali sarebbero le controindicazioni alla settimana lavorativa di 4 giorni? Detto che non tutti i settori possono essere rimodellati facilmente dal punto di vista dell’organizzazione, in Italia il maggior ostacolo per introdurre questa riforma si chiama senz’altro produttività. Secondo i dati Ocse, infatti, pur lavorando 5 giorni, “facciamo troppo poco”. Da noi, ogni lavoratore produce in media una ricchezza annuale in termini di Pil pari a 70.894 euro contro i quasi 80.000 della Germania e gli 86.000 della Francia. Ma magari imporre dei risultati raggiungibili in un tempo relativamente più breve, potrebbe diventare la soluzione giusta visto che come premio si andrebbe ad allargare la forbice del nostro tempo libero. La sfida è appena lanciata.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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