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Referendum, un insuccesso annunciato per il mondo del lavoro

L'altissima soglia del quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto rende questi strumenti sostanzialmente inutili

Il referendum abrogativo del 8 e 9 giugno 2025 sui temi del lavoro si inserisce in un contesto ormai consolidato di fallimento della rappresentanza sindacale e della sua capacità di mediazione tra le parti sociali e le istituzioni. Questo strumento, che dovrebbe essere l’ultima ratio in democrazia, viene sempre più utilizzato come un megafono politico e pubblicitario per le sigle sindacali, senza alcuna reale possibilità di successo pratico.

Un meccanismo inefficace con esito scontato

L’altissima soglia del quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto rende questi referendum sostanzialmente inutili nella pratica, specialmente considerando il tasso di astensionismo che caratterizza da anni le consultazioni elettorali in Italia. Ciò significa che, con ogni probabilità, questi quesiti non avranno alcun impatto concreto sulla normativa del lavoro, e si tradurranno nell’ennesima occasione mancata di risolvere problemi reali come il precariato, le tutele per i lavoratori licenziati e la sicurezza sul lavoro.

Un costo per lo Stato senza alcun beneficio

Oltre all’inutilità politica, c’è un altro dato da considerare: i costi per lo Stato. Organizzare un referendum nazionale comporta un dispendio di risorse pubbliche considerevole, che potrebbe essere evitato se il dibattito rimanesse nelle sedi più appropriate: quelle delle trattative sindacali e legislative. Invece, i sindacati – in particolare CGIL e UIL, promotori principali di questa iniziativa – si rifugiano in un referendum plebiscitario che, nel migliore dei casi, genererà solo divisioni politiche senza alcuna reale possibilità di modificare la normativa.

Il vero referendum andrebbe fatto tra i lavoratori, non nelle urne elettorali

Il problema di fondo è che queste consultazioni referendarie non rappresentano il vero sentire dei lavoratori, bensì una strumentalizzazione delle loro istanze per fini di visibilità politica e sindacale. Un vero strumento di democrazia diretta sarebbe quello di consultare tutti i lavoratori all’interno delle aziende, indipendentemente dalla loro iscrizione ai sindacati. Questo approccio permetterebbe di raccogliere il reale consenso e di individuare le priorità senza piegarle alle logiche di schieramento delle RSA (Rappresentanze Sindacali Aziendali) e delle RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie), spesso più interessate a equilibri interni che alle necessità concrete dei lavoratori.

Un’operazione di facciata senza impatto reale

Il referendum non è lo strumento giusto per affrontare le problematiche del lavoro in Italia. È evidente che, ancora una volta, i sindacati, non tutti fortunatamente, dimostrano la loro incapacità di ottenere risultati tangibili nelle trattative con le istituzioni e con le imprese, rifugiandosi in una battaglia puramente simbolica. Il rischio è quello di disperdere energie e risorse pubbliche senza risolvere nulla, lasciando irrisolti i veri problemi del mondo del lavoro.

Un’alternativa più concreta sarebbe ridare centralità alle decisioni aziendali con consultazioni dirette dei lavoratori e rafforzare strumenti di mediazione più efficaci, evitando così l’ennesima occasione sprecata per migliorare le condizioni dei lavoratori italiani.

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Segretario Generale Confederazione SELP

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