Le gabbie salariali non si sono mai del tutto “aperte”: lavorare al Nord rende, infatti, oltre il 30% in più. A sostenerlo è uno studio della Cgia di Mestre. In un comunicato diffuso nei giorni scorsi, l’associazione sottolinea che “anche dal confronto tra le retribuzioni, le differenze tra Nord e Sud sono molto evidenti. Se gli occupati nelle regioni settentrionali percepiscono una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano 75: insomma, i primi portano a casa uno stipendio giornaliero del 35 per cento più “pesante” dei secondi”.
Sempre secondo la Cgia, questa differenza, sostanzialmente, è dovuta, alla produttività del lavoro; al Nord, infatti, è del 34 per cento superiore al dato del Sud. A livello regionale, la retribuzione media annua lorda dei lavoratori dipendenti della Lombardia è pari a 28.354 euro; in Calabria, invece, ammonta a poco più della metà, ovvero a 14.960 euro. Ma se nel primo caso la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, nel secondo è di appena 29,7.
Sta di fatto che gli squilibri si rilevano non solo tra Nord e Sud, ma anche tra le aree urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro.
Ma tant’è: l’applicazione dei Ccnl ha prodotto solo in parte gli effetti sperati. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste e in molti casi sono addirittura aumentate, perché nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie che – tendenzialmente riconoscono ai propri dipendenti stipendi molto più elevati della media – sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord.
Infine, la Cgia punta l’indice sul lavoro irregolare, molto diffuso nel Mezzogiorno: “Da sempre provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati dei settori che tradizionalmente sono investiti da questa piaga sociale come agricoltura, servizi alla persona e commercio”.
Sta di fatto che l’associazione di Mestre fa anche notare che “se invece di comparare il dato medio tra aree geografiche diverse lo facciamo tra lavoratori dello stesso settore, le differenze territoriali si riducono e mediamente sono addirittura più contenute di quelle presenti in altri paesi europei. Pertanto, possiamo dire che in Italia le disuguaglianze salariali a livello geografico sono importanti. Ma, grazie a un preponderante ricorso alla contrattazione centralizzata, abbiamo differenziali intra-settoriali più contenuti rispetto agli altri Paesi. Per contro, la scarsa diffusione in Italia della contrattazione decentrata non consente, però, ai salari reali di rimanere agganciati all’andamento dell’inflazione”.