Secondo le stime della Cgil, sono ben 183.193 i lavoratori travolti dagli effetti di crisi aziendali o di settore nel comparto dell’industria e delle reti, a partire dai 58.026 addetti delle aziende per le quali presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy sono stati attivati i tavoli di crisi, a oggi 59 in tutto (37 attivi e 22 in monitoraggio).
Sta di fatto che a questi, poi, si devono aggiungere le decine di migliaia di lavoratori di aziende in crisi che hanno tavoli aperti a livello regionale per i quali non esiste una mappatura nazionale da parte delle istituzioni, ma che la Cgil dice di conoscere e rappresentare (18.609 nel Veneto e 18.241 in Puglia, solo per fare due esempi) assieme ai 5.141 lavoratori di aziende che, nonostante ne abbiano fatto richiesta, non hanno un tavolo al Ministero.
Tra le vertenze che “parlano di una incapacità totale del pubblico di indirizzare le politiche industriali in settori strategici e rilevanti per il Paese”, solo per citarne alcune fra i dossier aperti in questi giorni, la Cgil ricorda “La Perla, che fa corsetteria di alto livello ed è vittima di speculazione finanziaria; Fos Prysmian, che produce fibra ottica di qualità e rischia di essere messa in crisi dall’utilizzo in Italia di fibra cinese e indiana; Marelli, che apre una crisi annunciata viste le trasformazioni presenti nell’automotive”. E poi c’è l’Ilva, coi suoi 10.700 addetti che salgono a 20 mila con l’indotto che tiene banco ormai da settimane. E ancora la Jsw Steel Italy di Piombino, Almaviva contact, Industria italiana autobus, la Lear di Grugliasco, e ancora Jabil, Sideralloys Italia, Speedline e tante altre.
Nello specifico, ad essere a rischio di crisi a causa delle trasformazioni in atto sono 120.026 lavoratori: 70.000 nell’automotive, 25.459 nella siderurgia, 8.500 nelle telecomunicazioni, 8.000 nel settore della produzione dell’energia (centrali a carbone e cicli combinati), 4.094 nella chimica di base, 3.473 nel petrolchimico e nella raffinazione e 2.000 nel settore elettrico a causa della fine del mercato tutelato.
Il cuore di questa crisi, che in molti casi si trascina da tempo, è rappresentato dal settore metalmeccanico. Secondo l’ultimo rapporto della Fim Cisl appena pubblicato ed aggiornato a tutto il secondo semestre 2023, solo in questo comparto le crisi interessano in totale 84.817 lavoratori, 1.200 in più del primo semestre dell’anno.
In tutto, la Fim ha conteggiato 334 vertenze. Di queste, 112 riguardano aziende con meno di 50 dipendenti e 222 aziende con più di 50 dipendenti attive prevalentemente nell’automotive, nei campi della siderurgia, degli elettrodomestici e della termomeccanica. Più della metà dei posti a rischio (47.358) è legato a crisi di settore, 20.632 sono invece vittime di crisi finanziarie che hanno colpito le loro imprese, 4.157 scontano il conflitto Russia-Ucraina, 2.903 la crisi dell’indotto e 2.605 le delocalizzazioni (1.000 in più rispetto al primo semestre dell’anno).
“Abbiamo bisogno di politiche industriali e interventi che rimettano la questione industriale al centro delle risposte e delle politiche economiche del nostro Paese – avverte il segretario della Fim Cisl, Roberto Benaglia – Noi pensiamo che le crisi possano e debbano essere risolte con impegni concertati con il sindacato mettendo in campo risorse concrete di sostegno alle filiere in transizione e di attrazione di nuovi investimenti. Tanto più perchè abbiamo di fronte crisi note, ma anche crisi sottostanti che riguardano piccole e medie imprese della componentistica investite dalle transizioni di molte filiere che spesso non arrivano ai tavoli ministeriali: anche loro devono essere messe assolutamente in condizione di capire come investire e come non delocalizzare”.