
L’Italia è ancora quella del 1992? Quella di Tangentopoli? Quella in cui una impresa, per lavorare, è indispensabile che paghi una tangente? L’inchiesta di Genova che ha coinvolto il Governatore della Liguria Giovanni Toti, inevitabilmente, allunga quest’ombra. Ma tant’é: a dire che la corruzione è in aumento lo ammettono le stesse aziende.
Lo si evince dal report dell’Istat “La corruzione in Italia, anno 2022-2023”: per 2,9 milioni (il 38,5% rispetto al 32,4% del periodo 2013-2016) tra imprenditori, liberi professionisti e autonomi, “capita di essere obbligati (sempre o spesso) a pagare per ottenere licenze e concessioni o contratti con la Pubblica amministrazione, permessi per l’import e l’export, oppure per agevolare pratiche fiscali o velocizzare procedure giudiziarie”.
L’1,3% ha dichiarato di aver pagato direttamente una tangente. E va considerato, inoltre, che per un lavoratore autonomo su quattro (circa 1 milione e 897mila) “nell’ambito dei contratti con la Pubblica amministrazione in genere si è obbligati a pagare sempre o spesso”.
Nell’ambiente imprenditoriale e professionale, la percezione di dover pagare una bustarella è così elevata che per il 32,9% chi denuncia ha una buona dose di “coraggio”.
Secondo sempre lo stesso rapporto Istat, calano le richieste corruttive a danno delle famiglie italiane per velocizzare le pratiche amministrative: nell’ultimo triennio, sono state l’1,3% rispetto al 2,7% registrato tra il 2013 e il 2016.
E, last but not least: oltre il 90% dei cittadini è d’accordo con la lotta alla corruzione. Ma il 20,1% (circa 8 milioni e 695mila persone) sarebbe comunque favorevole a pagare una mazzetta se questa servisse a trovare un lavoro al proprio figlio.