E’ raro trovare una persona che sia felice di lavorare. Secondo il rapporto ‘State of the Global Workplace 2024’ di Gallup condotto in 90 Paesi, è davvero sempre più merce rara. E nemmeno l’Italia fa eccezione: quasi un italiano su due è stressato dal lavoro, il 25% si sente quotidianamente triste, l’11% addirittura arrabbiato.
Più in generale, il 41% dei dipendenti nel mondo è stressato e il 20% sperimenta un senso di solitudine quotidiano. Una sensazione più forte per chi lavora completamente da remoto e per chi ha meno di 35 anni.
Sta di fatto che il modo in cui sono gestite le aziende incide notevolmente sullo stato emotivo dei singoli lavoratori. Chi lavora in realtà con cattive pratiche gestionali ha quasi il 60% in più di probabilità di essere stressato rispetto a chi lavora in ambienti che mettono le persone al centro. Il management, in particolare, è ritenuto responsabile fino al 70% del benessere del capitale umano.
Ma le aziende in cui i team si sentono più gratificati per cosa si distinguono? Obiettivi trasparenti, feedback regolari, rispetto e comprensione reciproci. Pratiche che convengono: le persone vivono meglio sul lavoro aumentano di conseguenza produttività e profittabilità delle imprese, e si assentano meno.
Viceversa, Gallup stima che il basso impegno delle persone sul lavoro costi all’economia globale 8.900 miliardi di dollari, pari al 9% del Pil mondiale.
Per evitare queste perdite, bisogna ripensare il rapporto con il potere in un contesto lavorativo in forte cambiamento, in cui l’arrivo di tecnologie, come l’intelligenza artificiale generativa, espongono buona parte della popolazione aziendale a precarietà e senso di inadeguatezza.
Secondo il report, sono soprattutto le nuove generazioni a mostrare in maniera più accentuata i segnali di malessere. Subiscono al contempo sia lo sfaldamento dei modelli tradizionali legati all’evoluzione delle carriere (un tempo il nesso “mi impegno, quindi cresco” era immediato, ora non lo è più) sia la perdita delle relazioni sociali. Il tutto mentre molte aziende sembrano non accorgersi della profondità del disagio provato e rispondono richiamando semplicemente i propri dipendenti in presenza. La sfida è, invece, interpretare i bisogni sommersi e ripensare tempo e spazio del lavoro secondo logiche nuove.