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Non bisogna essere degli indovini per prevedere che anche il 2025 sarà un anno di sfide.
Tra crisi internazionali, guerre, instabilità.
Dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, ai nuovi scenari in Ucraina, ai sempre più precari equilibri in Medio Oriente. E poi l’Estremo Oriente, e la polveriera Africa.
Precarietà è la parola d’ordine che accoglie, si fa per dire, il nuovo anno. Anche sul fronte dell’occupazione.
Le crisi industriali avanzano, sempre più persone al lavoro, ma con gli stipendi più bassi della media europea e con una percentuale di inattivi salita ad oltre il 33 per cento: circa 12 milioni e mezzo di persone, certifica l’Istat.
A trinare il carro degli occupati sono gli ultra cinquantenni, 306mila su 363mila, di cui 53mila over 64: fine lavoro mai, altro che pensione.
E i giovani? Ogni anno tra i 20 e i 30mila lasciano l’Italia per cercare lavoro all’estero. Colpa dello skills mismatch, il disallineamento tra le competenze richieste dalle imprese e quelle effettivamente possedute dai lavoratori. O semplicemente perché agli expat, in patria, si richiede di costare poco? Non hanno voglia di lavorare? O magari è solo il desiderio di non essere sfruttati?
L’ultima indagine dell’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, ha infatti rivelato che i giovani intendono sempre più il lavoro come progetto di vita, e non più solo come strumento di guadagno, mettendo al centro la qualità di vita. Cercano, insomma, molto più di un posto di lavoro e di reddito, sono a caccia di situazioni in cui possono realizzare se stessi dal punto di vista umano e professionale.
A loro, l’augurio di un anno finalmente buono per avviare serie politiche attive sul lavoro.