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È più facile fare carriera stando in ufficio oppure in smart working?

Sono varie le ricerche che si sono fatte sia Oltreoceano che in Italia. E le sorprese non mancano

In cinque anni, per alcune persone, il modo di lavorare è cambiato due volte. Nel 2020, nei primi giorni della pandemia, farlo da casa è diventato la normalità. Così molte si sono abituate apprezzandone i benefici. Dopodiché, in alcuni casi, è successo che lo smart working è stato cestinato e le imprese hanno richiesto la presenza 5 giorni su 5 in ufficio, chiudendo definitivamente quel capitolo.

Ma è più facile fare carriera stando spesso o sempre in ufficio, facendosi vedere da capi e responsabili, oppure lo smart working consente di essere più produttivi e dunque di mostrare il proprio valore senza l’obbligo di dovere timbrare il cartellino in azienda?

Non esistono risposte definitive, perché dipende da caso per caso. Possiamo però farci aiutare da alcune ricerche che inquadrano le percezioni dei dipendenti, non soltanto in Italia.

Negli Stati Uniti un’indagine citata dal Wall Street Journal non lascia spazi ai dubbi: gli smart worker starebbero perdendo opportunità di promozione.

Su un campione di 2 milioni di persone quelle che hanno lavorato da casa hanno fatto scatti di carriera il 31% in meno rispetto ai colleghi che stavano in ufficio. Questo perché nove manager su dieci sarebbero più predisposti a promuovere persone che fanno lo sforzo di andare in ufficio.

Il modo in cui i manager guardavano allo smart working era già chiaro nei primi anni della pandemia, quando per forza di cose moltissime aziende più di oggi erano costrette a tenere i dipendenti a casa.

Nel 2021, una ricerca di Society for Human Resource Management riferiva che il 62% di supervisori e responsabili reputasse il remote working dannoso per la carriera. E non è tutto, c’è un altro rischio: nel 42% dei casi i supervisori si “dimenticano” più facilmente delle persone che lavorano da remoto.

Veniamo all’Italia. Le persone che nel 2025 hanno lavorato in remoto del tutto o in parte sono 3,57 milioni, in leggero aumento (+0,6%) rispetto all’anno precedente. Dato che comunque conferma il fatto che lo smart working non è stato una rivoluzione diffusa, che ha investito tutte le aziende. Quando permesso, però, viene largamente utilizzato e apprezzato.

Secondo una ricerca del Politecnico di Milano nelle grandi aziende appena il 15% dei dipendenti lavora da remoto meno giorni di quelli a cui avrebbe diritto da contratto. Perché ci sono benefici sul risparmio di tempo e di soldi.

L’Italia deve poi fare i conti con una popolazione attiva che tende a invecchiare e dunque per rimanere competitive le organizzazioni devono evolvere e trattenere le persone con condizioni di lavoro che stimolino la produttività.

Lo smart working, secondo gli esperti, è qui per restare ed è una modalità di lavoro stabile nel nostro Paese. Rispetto tuttavia alla possibilità di fare carriera più velocemente alcuni potrebbero sostenere che sia più facile per chi si fa vedere spesso in ufficio. Del resto sono molto poche le società – per lo più startup – che operano in full remote, magari senza avere nemmeno una sede stabile.

Ma sono anche molti i freelance e i professionisti che collaborano con aziende su progetti specifici. Si tratta del mercato globale dell’outsourcing che, secondo Gartner, valeva 1,4 trilioni di dollari nel 2022 e quest’anno ha raggiunto i 2,2 trilioni di dollari. Soldi che, per forza di cose, non finiscono nelle tasche dei dipendenti sotto forma di maggiori incarichi e scatti di carriera.

Ma non c’è soltanto la carriera. Secondo EURES (EURopean Employment Services) se i millennial tendono a dare più importanza a un equilibrio tra vita professionale e vita privata, la Gen Z sembrerebbe più propensa alla carriera con maggiori motivazioni dal punto di vista finanziario.

Sono diverse le aziende che, nelle offerte di lavoro, inseriscono la possibilità dello smart working come leva per attirare più candidati. Questo perché la modalità ibrida è un elemento sempre più richiesto. Nel 2022 due dipendenti su tre erano pronti alle dimissioni nel caso in cui la propria azienda avesse cancellato la possibilità di lavorare da casa. Segno che, chi lo prova, difficilmente torna indietro perché comprende quanto alcune cose siano impagabili.

Che poi, il concetto stesso di fare carriera è evoluto nel tempo. Se decenni fa significava scalare un’organizzazione in senso verticale oggi non è più così. Stando a un’indagine di GoodHabitz il 41% degli over 45 opta per un percorso professionale non lineare, rispetto al 38% degli under 44. Dati che si possono leggere attraverso la lente di un altro fenomeno, il job hopping: fare carriera è possibile anche saltellando da un’impresa all’altra.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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