
In Europa, una delle distorsioni storiche del mercato del lavoro è rappresentata senz’altro dal differente valore della busta paga che si riscontra di Paese in Paese. L’ultima fotografia che testimonia questa situazione l’ha scattata Eurostat. Secondo l’istituto demoscopico, in Italia, il costo medio orario è di 29,4 euro, più o meno vicino alla media Ue, ma almeno 3 volte quello di Bulgaria e Romania, ad esempio, e sicuramente più alto di altri Paesi come Spagna (23,5 euro) e Portogallo (16,1 euro).
In ambito Ue, un’ora di lavoro costa in media 30,5 euro. Ma già nel recinto dell’eurozona (in Germania è fissata a 39,5 euro, in Francia a 40,8 euro), questa media si alza fino a 34,3 euro.
Detto che, in assoluto, il Paese dove la paga oraria è più pesante è il Lussemburgo (che tocca quota 50,7 euro), si ravvisano delle differenze importanti anche di settore in settore. A costare di più sono i lavoratori dell’industria (36,6 euro nell’area euro). Nei servizi, invece, il costo scende a 33,3 euro e nell’economia non imprenditoriale – esclusa, però, la pubblica amministrazione – ci si assesta a 34,8 euro.
Ma qual è la variabile che fa oscillare tanto il costo del lavoro? Eurostat rileva che sono essenzialmente due le componenti che incidono: i salari e i costi non salariali come, ad esempio i contributi sociali dei datori di lavoro. Nell’area euro, questi ultimi incidono inmedia per il 25,5%, in Italia per il 27,8%. Peggio di noi, fanno solo Francia (32%) e Svezia (31,9%) mentre impattano in minima parte in Lituania (5,4%) e Romania (5,3%), due Paesi che resistono anche al rincaro del costo del lavoro verificatosi generalmente in tutt’Europa dopo la fine dei sostegni statali dovuti alla pandemia per Covid 19.