Non è la parola dell’anno, ma quante volte l’abbiamo utilizzata dalla pandemia in poi, anche a sproposito? Parliamo del burnout, espressione che ci permette di affrontare una questione seria, non nuova nel mondo del lavoro, per fare anche chiarezza su cosa è e cosa invece non è.
“Il burnout è una sindrome riconosciuta dall’OMS caratterizzata dalla sensazione di esaurimento fisico e mentale, cinismo e pessimismo rispetto al proprio lavoro, stanchezza e ridotta efficacia professionale”.
Secondo un recente rapporto del Censis, oltre il 30% degli italiani che lavora come dipendente ha dichiarato di aver provato sensazioni di esaurimento. La questione è sentita molto anche tra i freelance, professionisti che in molti casi faticano a staccare anche quando dovrebbero.
Spiegare cosa non è il burnout ci permette di conoscere meglio i potenziali segnali di allarme, riducendo anche l’ansia. “Per parlare di vero e proprio burnout occorre che la condizione si trascini nel tempo e che comprometta il benessere riducendo la capacità di svolgere le nostre mansioni”.
Può sembrare ovvio ma è bene farselo spiegare da un esperto. “Avere una giornata no al lavoro, o vivere da alcune settimane una situazione tesa con il proprio capo o ancora non avere voglia di andare al lavoro ed essere demotivati non rappresentano automaticamente il burnout”, ha avuto modo di spiegare a Torcha Cesare Dalla Porta, medico specialista in medicina interna.
Certo è che dalla pandemia in poi il dibattito sulla salute mentale si è aperto. Molti tabù sono stati abbattuti, le cure dagli psicoterapeuti sono più accessibili anche dal punto di vista digitale e diverse aziende le comprendono nel proprio pacchetto welfare. Cosa ci suggeriscono quelle percentuali (alte) di persone a rischio burnout? Come si affronta il problema?
Cesare Dalla Porta ha parlato del suo settore, quello medico, che fa i conti con la carenza di organico e i turni massacranti. “Noto un aumento di casi di burnout, in particolare nel settore in cui lavoro: i professionisti sono sempre più sotto pressione, in particolare dalla pandemia in poi”. Ma allargando lo sguardo qual è l’osservazione che un medico può fare dello stato di salute generale delle persone oggi?
“Nella mia esperienza clinica vedo un aumento costante di persone insoddisfatte della propria vita e sofferenti non tanto nel corpo ma nello spirito. Viviamo in una società malata, e uso questa parola da medico: è una società che promuove ritmi e stili di vita poco sani che fanno ammalare”. Qualche esempio? “Siamo sempre di corsa, dormiamo poco e male, mangiamo pasti precotti o nutrizionalmente poco equilibrati, non facciamo attività fisica e soprattutto ci stressiamo. Lo stress riduce la durata della nostra vita e soprattutto accorcia la quota di vita sana che abbiamo a disposizione: ci fa ammalare e ci fa vivere peggio”.
Questo forse perché diamo troppa importanza al lavoro? Senz’altro averne uno che ci piace è una parte fondamentale di serenità e soddisfazione personali, ma non è che forse abbiamo dimenticato altri fattori altrettanto importanti per il benessere? “Trascuriamo la costruzione della nostra identità attraverso la famiglia, le amicizie, lo sport, il volontariato, la cittadinanza attiva. L’idea di performance ci spinge a voler dimostrare sempre di più. E in questo i social amplificano i nostri presunti successi. In più riversiamo sul lavoro ansie e aspettative fuori luogo”.
Molte persone hanno cercato di stare meglio con la terapia. “Il primo step è riconoscere i sintomi e saper chiedere aiuto, parlandone magari con il proprio medico di fiducia. Farmaci e psicoterapia possono aiutare chi attraversa una fase difficile e sperimenta ansia, depressione o burnout. Ma vorrei stressare l’importanza della prevenzione”.
Le tante persone che si sentono al limite – questo è il messaggio del medico – hanno nelle proprie mani alcune soluzioni che possono migliorare la situazione e schiarire le tempeste interiori, che siano o meno burnout. Fermo restando che nessuno ha sposato il proprio posto di lavoro: cambiare aria a volte è un’opzione più che valida. Ma è salutare fare qualcosa pure al di fuori del lavoro.
In ordine sparso, secondo Dalla Porta, tutti possiamo da domani “dormire 8 ore ogni notte, limitare l’uso del cellulare e smettere di usarlo almeno un paio di ore prima del sonno, cucinare il nostro cibo avendo cura soprattutto la sera di preparare pasti salutari e leggeri, fare almeno un paio d’ore di attività fisica a settimana, prendere la green pill, ossia fare una passeggiata di un’ora in un bosco o in mezzo al verde una volta a settimana”.
C’è infine un altro elemento che va considerato della società odierna, una malattia che troppo spesso abbiamo associato alle persone anziane e che invece contagia i giovani, che avrebbero più mezzi per contrastarla. “Mi riferisco all’epidemia di solitudine e isolamento sociale, come l’ha chiamata il General Surgeon Vivek H. Murthy. Siamo sempre più soli e la solitudine fa male: correla positivamente a depressione, ansia e morte prematura. L’assenza di connessioni sociali è un predittore di morte prematura tanto quanto fumare 15 sigarette al giorno”.
Si è chiesto infine a Dalla Porta se il burnout riguarda di più i junior o i senior. “Tocca entrambe le fasce, anche se sono più preoccupato per i giovani perché sono più vulnerabili in un contesto mondiale complesso e incerto. Sempre secondo l’OMS, la depressione è una patologia in forte aumento, anche fino al 50% negli ultimi anni negli under 30”.

