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Il lavoro del futuro in Italia se si intervenisse concretamente su giovani e donne

Le proiezioni indicano che non è troppo tardi per farlo: lo studio su come iniziare un ciclo virtuoso

L’Italia, secondo una ricerca dell’associazione Prometeia, sta già facendo i conti con l’invecchiamento della popolazione.

Oggi, per ogni 100 persone che entrano nel mercato del lavoro, più di 125 ne escono, e il divario è destinato ad allargarsi fino a superare le 168 entro il 2038.

Meno persone attive e più anziani significano crescita più lenta, innovazione in calo e maggiore pressione sui settori produttivi e sui sistemi di welfare.

A peggiorare la situazione si aggiungono due elementi tipicamente italiani: l’elevata disoccupazione giovanile e la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Ma cosa accadrebbe se l’Italia riuscisse ad allinearsi agli altri Paesi europei su questi due fronti? Come cambierebbe il numero complessivo di occupati se giovani e donne partecipassero al mercato del lavoro con la stessa intensità che si osserva altrove in Europa?

Un ingresso più rapido dei giovani nel mercato del lavoro potrebbe contribuire in modo significativo a mitigare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione.

Applicando alle proiezioni demografiche dello scenario medio Istat i tassi medi di occupazione giovanile osservati tra il 2018 e il 2022 (assunti come costanti nel tempo), si ottiene una stima del numero complessivo di occupati in Italia fino al 2050.

Questi valori possono essere messi a confronto con quelli che si ottengono applicando alla popolazione italiana proiettata i tassi medi di occupazione giovanile (osservati tra il 2018 e il 2022) per l’insieme dei Paesi dell’Unione Europea (UE27) e per due paesi con livelli di occupazione giovanile particolarmente elevati: Germania e Paesi Bassi.

Come è noto, entro il 2030 il numero complessivo di occupati in Italia è destinato a diminuire. Tuttavia, questa riduzione potrebbe essere compensata se l’occupazione giovanile raggiungesse la media dell’UE27.

Se entro il 2035 i livelli fossero pari a quelli osservati in Germania, la perdita di lavoratori dovuta all’invecchiamento verrebbe interamente recuperata. E se l’Italia riuscisse ad avvicinarsi ai tassi di occupazione giovanile dei Paesi Bassi, si potrebbe addirittura compensare la riduzione della forza lavoro fino al 2040 e oltre.

Si è stimato poi il numero complessivo di occupati (uomini e donne) applicando alle proiezioni demografiche dello scenario mediano Istat tassi di occupazione costanti, calcolati come media del periodo 2019–2023. A questo scenario di riferimento abbiamo affiancato uno scenario di “parità di genere”, in cui si ipotizza che i tassi di occupazione femminile siano pari a quelli maschili osservati nel periodo 2019-2023.

In questo scenario di parità di genere nell’occupazione, il numero totale di occupati aumenterebbe notevolmente, mantenendo i livelli attuali di occupati fino agli anni Quaranta.

In un Paese che invecchia rapidamente, la prospettiva di una forza lavoro sempre più ridotta sembra ormai inevitabile. Eppure, anche in questo scenario, esistono margini di intervento per invertire, almeno in parte, la tendenza. E’ possibile contenere la riduzione della forza lavoro nei prossimi anni, a condizione di avvicinarsi ai livelli di partecipazione al lavoro registrati in altri Paesi europei.

In sostanza, le caratteristiche della popolazione in età da lavoro lasciano supporre un certo ottimismo, ma sarà necessario uno sforzo aggiuntivo per affrontare le criticità occupazionali che coinvolgono donne e giovani, due ambiti che da tempo costituiscono punti di debolezza strutturale del nostro Paese.

L’invecchiamento demografico impone di porre la massima attenzione a questi temi. Da un lato, promuovere l’occupazione giovanile favorirebbe una più rapida transizione verso l’autonomia dalla famiglia d’origine e una piena partecipazione sociale, contribuendo al tempo stesso a compensare parte della perdita di lavoratori prevista nei prossimi anni. Dall’altro, un maggiore coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro offrirebbe molteplici benefici: rafforzerebbe l’autonomia femminile, promuoverebbe la parità di genere, migliorerebbe il benessere familiare e ridurrebbe lo spreco di capitale umano e sociale. Al tempo stesso, potrebbe sostenere la natalità e contribuire a compensare in modo più efficace le perdite di forza lavoro dovute all’invecchiamento, rafforzando così la sostenibilità economica complessiva del Paese.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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