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Pensioni, si va verso la cancellazione di Quota 103

La possibilità di lasciare il lavoro con 64 anni di età e 41 anni di contributi è stata utilizzata poco

Manca ancora un po’ di tempo alla legge di Bilancio, ma il governo ha riaperto, sia pure in via riservata, il cantiere pensioni, in attesa di presentare il nuovo pacchetto di manutenzione dell’attuale assetto alle parti sociali nel corso del mese di settembre. Le prime indiscrezioni sui lavori in corso riguardano la possibilità di dire addio al sistema delle quote e, in questo senso, di archiviare una volta per tutte Quota 103. Ma, nello stesso tempo, di bloccare dal 2027 anche l’aumento di tre mesi dei requisiti per le molteplici forme di pensionamento e di allargare le maglie per l’uscita a 64 anni, prevista per i lavoratori che hanno il sistema contributivo (coloro che hanno cominciato a lavorare dal ‘96), anche ai lavoratori con calcolo “misto” (retributivo e contributivo), con il ricorso, quando serve, anche al Tfr. Ma andiamo con ordine.

Nella versione 2024 e 2025, con una serie di rilevanti e penalizzanti paletti aggiunti, la possibilità di lasciare il lavoro con 64 anni di età e 41 anni di contributi è stata utilizzata da una platea davvero minima di lavoratori. Che sia stata un’operazione voluta per risparmiare sulla spesa o un flop per l’inutilizzabilità di fatto dello strumento, a questo punto conta poco. Certo è che, sulla scorta di questo significativo effetto, il governo si appresta a cancellarla dal prossimo anno e, così, a mettere fine al sistema delle Quote che ha caratterizzato gli ultimi anni.

Lo stesso discorso vale per Opzione donna, se si parte dai numeri risibili delle lavoratrici che hanno fatto ricorso allo strumento. E anche in questo caso la ragione del crollo delle domande per uscire con questa via risiede nella drastica stretta sulle condizioni di accesso definita nelle più recenti leggi di Bilancio. A differenza di Quota 103, però, la soluzione della cancellazione non è stata decisa, perché Opzione donna si lega, almeno simbolicamente, anche al nodo dei sostegni alle lavoratrici che hanno figli. Si vedrà in autunno, ma il dossier contempla tra le ipotesi anche l’eliminazione.

Sappiamo che dalle ultime indicazioni dell’Istat sull’andamento demografico nel biennio 2027-2028 i requisiti per il pensionamento dovrebbero essere adeguati di tre mesi. L’età per la pensione di vecchiaia dovrebbe salire da 67 a 67 anni e 3 mesi, mentre per la pensione cosiddetta anticipata (a prescindere dall’età) si passerebbe da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e un mese per gli uomini e da 41 anni e 10 mesi a 42 anni e un mese per le donne. Il governo, però, è intenzionato a fermare il meccanismo di crescita dei requisiti legato all’aumento della speranza di vita. Il risultato sarebbe la conferma delle attuali condizioni di accesso per il biennio 2027-2028.

Il governo, d’altra parte, intende rafforzare un canale di uscita previsto per chi ha cominciato a lavorare nel ’96 e che rientra nel sistema contributivo interamente. Vediamo come funziona oggi. Si prevede che i lavoratori indicati possano lasciare il lavoro a 64 anni con almeno 25 anni, requisito che salirà a 30 anni dal 2030. Ma per conquistare la pensione serve che quest’ultima sia pari almeno a 3 volte l’assegno sociale (pari a circa 1.616 mensili nel 2025) o, per le lavoratrici, a 2,8 volte se hanno 1 figlio, 2,6 volte con due o più figli. Solo che fino al compimento dei 67 anni il tetto massimo del trattamento potrà raggiungere 5 volte l’assegno sociale (circa 3.083 mensili nel 2025).

La manovra per l’anno in corso ha stabilito, secondo la proposta diventata legge del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, che per raggiungere l’importo che dà il via libera alla pensione si può utilizzare anche la rendita garantita da un fondo pensione. Ma è evidente che si tratta di una soluzione che riguarda solo gli iscritti alla previdenza complementare.

La novità in arrivo, sempre voluta dalla Lega, sarebbe duplice. In gioco c’è innanzitutto l’estensione del meccanismo a tutti i lavoratori, anche a quelli “misti”, che avranno la pensione calcolata con entrambi i sistemi, retributivo e contributivo. In secondo luogo, per rendere più agevole il raggiungimento dell’importo soglia si ipotizza la possibilità di utilizzare almeno una parte del Tfr versato nel conto di tesoreria dell’Inps dalle imprese: si tratta del Tfr maturato che non viene destinato alla previdenza complementare dal lavoratore.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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