Se la pandemia ha lasciato una eredità nel campo del lavoro, questa è lo smart working. Ormai, sembra chiaro a tutti che, sotto quest’aspetto, non si può tornare indietro e che il lavoro da casa – o meglio, da remoto – segnerà sempre più il futuro del mercato lavorativo. Sta di fatto che, come tutte le cose, c’è anche un rovescio della medaglia. Il Centro Studi di Confindustria ha, infatti, indagato sui pericoli che vengono percepiti dai suoi associati proprio a proposito di questa modalità di impiego ed è venuto fuori che ciò che i datori di lavoro temono di più, per il 63,4%, è la mancanza di comunicazione tra i dipendenti con la conseguenziale perdita di occasioni di trasmissione del sapere tra i lavoratori senior e quelli junior. Non è una questione da poco se si pensa che la seconda preoccupazione rilevata dall’indagine di Confindustria, quella di un impatto negativo sul senso di appartenenza all’azienda, è condiviso solo dal 18,5%, ma è una voce in qualche modo correlata alla prima: se non imparo dagli altri, se vivo isolato, perché mai dovrei sentirmi parte di una squadra, di un gruppo di lavoro impegnato a raggiungere un obiettivo comune? Anche per questo, quindi, la terza preoccupazione legata allo smart working che viene condivisa dagli imprenditori è quella di una riduzione dell’innovazione derivante dall’interazione dei lavoratori. Ma quanti sono gli italiani in smart working? Secondo l’Osservatorio SmartWorking del Politecnico di Milano, nel 2023, la loro stima toccherebbe i 3.630.000 lavoratori, più dello scorso anno quando ne furono censiti 3.570.000 e meno, naturalmente, del 2021 quando, con le restrizioni ancora attive, superarono i 4 milioni (4.070.000). Nello specifico, i numeri sono consistenti per tutti i settori: nel 2023, si stimano 680.000 smartworker nella pubblica amministrazione, 520.000 nelle micro imprese, 490.000 nelle piccole e medie imprese, 1.940.000 nelle grandi imprese. Il futuro dello smart working, quindi, è assicurato. Lo testimoniano anche i sindacati quando confermano che il lavoro da remoto è la prima richiesta che fanno i ragazzi ai datori di lavoro anche prima di conoscere l’entità dello stipendio, ma deve essere ricalibrato.
Smart working, i pericoli avvertiti dai datori di lavoro
Il Centro Studi di Confindustria: se si sta a casa, più difficile la trasmissione delle conoscenze tra lavoratori