155 visualizzazioni 6 min 0 Commenti

Malata oncologica si vede negare lo smart working: ecco quale è stata la sentenza del giudice

Il caso accaduto in provincia di Latina e portato alla luce dalla giuslavorista Gianna Elena De Filippis

La giuslavorista Gianna Elena De Filippis ha trattato per il Fatto Quotidiano un caso di smart working negato ingiustamente a una dipendente pubblica malata oncologica.

“L’avanzata del diritto europeo e del diritto euro unitario, fluido, circolare ed in continuo divenire, riesce a portare una incisiva evoluzione nell’ordinamento giuridico italiano, esigua parte ormai di un immenso “tutto” euro-mondiale. E così oggi bisogna sapere che più di ogni altra epoca l’inclusività della persona con disabilità nel mondo del lavoro non è una libera scelta del datore di lavoro né una arbitraria opzione ma un obbligo giuridico a tutti gli effetti da cui discendono gravi responsabilità e considerevoli conseguenze giuridiche. L’ “accomodamento ragionevole” di cui spesso si sente parlare è come un abito cucito ad hoc sulla persona interessata, per garantirle il pieno e compiuto godimento nonché l’effettivo e tempestivo esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali. Dunque, un esempio di accomodamento ragionevole è lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità smart working, da remoto”.

Ma qual è il caso che la giuslavorista prende in esame? E’ quella di una direttrice amministrativa scolastica verificatosi in provincia di Latina:

“Il caso esaminato e deciso dal Tribunale Ordinario di Latina, Sez. Lavoro, con la sentenza n.925/2025 del 7.7.2025, riguarda una donna lavoratrice in terapia salvavita per malattia oncologica con mansioni di D.S.G.A. (Direttore dei servizi generali e amministrativi) alle dipendenze di un istituto scolastico. La lavoratrice avanzava richiesta di svolgimento della prestazione in smart working, almeno per il primo periodo di somministrazione della terapia, avente significativi effetti collaterali sul suo corpo; il Dirigente Scolastico negava la misura richiesta dalla lavoratrice per fatti concludenti, senza mai motivare né formalizzare il diniego. Depositato ricorso all’Autorità Giudiziaria, i tempi per la definizione della controversia sono stati brevi ma non tali da potere soddisfare a pieno l’interesse prioritario della ricorrente che era quello di prestare la propria attività lavorativa; e, infatti, il processo veniva definito il 7.7.2025 quando l’anno scolastico era terminato. E’ proprio in tale circostanza fattuale che è emersa, in tutta la sua chiarezza, l’indifferibile dovere di insistere per il riconoscimento dei danni subiti dalla lavoratrice. Accertata, infatti, da parte del Giudice, la sussistenza di una fattispecie discriminatoria per la disabilità, la difesa della lavoratrice insisteva per la condanna di controparte alla sanzione pecuniaria”.

Il Giudice del Lavoro, allora, ha argomentato così: “Sul punto relativo alla corretta quantificazione e conseguente liquidazione del danno da discriminazione, va rilevato che (come l’art. 15 Direttiva 2000/43, anche) l’art. 17 Direttiva 2000/78 sancisce che la misura del risarcimento dei danni originante dalla condotta discriminatoria debba essere tale che il ristoro garantito al lavoratore discriminato risulti effettivo, proporzionato e connotato da una componente sanzionatoria di dissuasività intesa ad evitare la perpetrazione della condotta discriminante. Ciò significa, dunque, che il risarcimento del danno da discriminazione, oltre ad esercitare una funzione reintegratoria del pregiudizio subito dal soggetto discriminato (tale da consentire il ripristino dello status quo ante pregiudicato dalla condotta: effettività), abbia altresì una funzione eminentemente sanzionatoria, volta ad evitare che il soggetto discriminante ponga in essere ulteriori comportamenti suscettibili di integrare un’oggettiva disparità di trattamento (…). Alla luce della natura non esclusivamente ripristinatoria dello status quo ante attribuibile al risarcimento del danno da discriminazione, vanno evidenziati i plurimi parametri in base ai quali liquidare la pretesa risarcitoria, avendo riguardo ai caratteri di proporzionalità ed effettività, nonché di dissuasività cui il risarcimento deve necessariamente tendere”.

Per De Filippis, “uno dei parametri sottoposti dalla difesa della lavoratrice al vaglio del G.L. era quello dell’articolo 11, legge n.689/1981, che disciplina proprio i criteri da adottare nella liquidazione delle sanzioni a carattere pecuniario. Ebbene tale parametro veniva pienamente “accolto” dal Giudice per la determinazione quantitativa della sanzione”.

Questa innovativa quanto rivoluzionaria impostazione dell’intera questione del risarcimento del danno da discriminazione inizia ad avere seguito da parte dell’Autorità Giudiziaria (questo, su base nazionale, è uno dei primissimi casi di accoglimento della domanda giudiziaria nel senso anzidetto) ed è su questa scia che si auspica di potere creare un crescente senso di responsabilità, nuove consapevolezze ed “umana” giustizia.

D’altronde, proprio su questa scia, si impone con tutta la sua sovrana prorompenza un nuovo modello unitario e globale di diritti e di garanzie con le ultimissime preziose pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dell’11 settembre scorso all’esito dei procedimenti per rinvio pregiudiziale nelle cause C-38/24 (sul diritto del lavoratore che assiste un familiare in condizioni di disabilità ad avere un orario di lavoro rispondente alle esigenze di cura) e C-5/24 (sulle assenze per malattia del lavoratore in condizioni di disabilità non rientrano nel computo del “comporto” ordinario)”.

Avatar photo
Redazione - Articoli pubblicati: 1

Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

Twitter
Facebook
Linkedin
Scrivi un commento all'articolo