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Anni di ritardi e mancati investimenti: ecco perché l’Europa è destinata a perdere la sfida con Stati Uniti e Cina

Mancano politiche efficaci su difesa, industria, energia: il fallimento del modello di sviluppo denunciato da Draghi

Mario Draghi non è stato tenero. E, col tono sferzante al quale ci ha abituato, ha dato la scossa all’Unione europea evidenziandone l’inconsistenza e denunciando il fallimento del suo modello di sviluppo. In effetti sono molti i fronti sui quali il Vecchio Continente è in ritardo rispetto a competitor del calibro di Stati Uniti, Cina e India: terre rare, debito pubblico, difesa, sicurezza informatica, per non parlare di automotive, intelligenza artificiale ed energia.
Partiamo dalle terre rare. L’approvvigionamento europeo è legato a un numero limitato di fornitori, mentre la Cina detiene rispettivamente il 68 e il 15% delle terre rare mondiali in fase di estrazione e lavorazione. Ciò offre un enorme vantaggio competitivo a Pechino, visto che quelle sostanze chimiche sono indispensabili per sistemi radar e sonar, ottiche per la visione notturna, munizioni a guida di precisione e persino per i caccia F-35. Questo ci porta a un altro fronte sul quale l’Unione europea è carente, cioè quello della difesa: qui l’industria è eccessivamente frammentata e, dai tempi della Guerra Fredda, gli investimenti si sono progressivamente ridotti fino a toccare il picco negativo di 147 miliardi nel 2014. Nel frattempo Cina, Turchia, Iran e Russia hanno speso cifre consistenti per la loro difesa (o, nel caso di Mosca, per le loro guerre di aggressione). Risultato: all’Europa, per proteggersi dalle minacce dei potenziali nemici, servirebbero subito 300mila soldati in più e massicci investimenti in attrezzature militari.
È soprattutto a livello tecnologico, però, che il Vecchio Continente si presenta in affanno. Si pensi alla sicurezza informatica: il 67% dei professionisti europei ritiene che il calcolo quantistico possa aumentare i rischi, ma solo il 4% ha una strategia definita per affrontarli. E l’intelligenza artificiale? Nel 2024 l’Unione europea ha prodotto tre large foundation models, cioè modelli in grado di elaborare vari tipi di dati quali testo, immagini, voce e video. Peccato che Stati Uniti e Cina ne abbiano sviluppati rispettivamente 40 e 15, cioè circa dieci e cinque volte in più rispetto al Vecchio Continente. Eppure, se usata con sagacia, l’intelligenza artificiale può rivelarsi un formidabile moltiplicatore di affari.
A tutto ciò si aggiungono nodi che l’Europa stenta a sciogliere ormai da anni. Il primo è quello dell’energia. Nell’Eurozona i prezzi del gas naturale sono quattro volte superiori a quelli registrati negli Usa, il che rappresenta una zavorra per le imprese che non sono in condizione di competere ad armi pari con quelle di altri Paesi. A febbraio Bruxelles ha presentato il Clean Industrial Deal, un progetto da 100 miliardi su competitività, decarbonizzazione e semplificazione: una risposta importante ma tardiva alla guerra in Ucraina che ha fatto impennare il costo dell’energia. Altra questione irrisolta è quella dell’industria automobilistica. Draghi è stato chiaro: il Green Deal va cambiato perché si basa su presupposti ormai superati. L’obiettivo della riduzione delle emissioni di CO2 nel trasporto su strada può essere ancora raggiunto, ma solo a patto che vengano adottate misure per ottenere batterie europee, più colonnine di ricarica in città e lungo le strade, costi più bassi. Nel frattempo il settore dell’automotive, che in Europa offre lavoro a circa 13 milioni di persone, deve fare i conti con l’ormai cronico calo delle vendite, l’esorbitante costo dell’energia e con la spietata concorrenza della Cina.

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Direttore Editoriale - Articoli pubblicati: 180

Libero Professionista, impegnato oltre che sul fronte dei servizi e prestazioni connesse al tema della prevenzione degli infortuni in ambienti di lavoro, ha maturato una notevole esperienza nell’ambito delle relazioni sindacali, ed oggi è tra i fondatori di diverse realtà sindacali di carattere Nazionale.

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