Secondo il report Istat “Conti economici delle imprese e dei gruppi d’impresa”, pubblicato il 15 ottobre scorso, in Italia, il costo del lavoro è aumentato mediamente del 5,5% in un solo anno, ma con differenze significative tra settori e dimensioni aziendali.
Dai dati raccolti e analizzati, relativi al 2023, l’aumento del costo del lavoro è cresciuto in Italia ma con un andamento progressivo in base alla dimensione aziendale.
A pagare di più per retribuzioni, contributi sociali e delle altre spese collegate all’occupazione sono le grandi e medie imprese, seguite a distanza dalle piccole, mentre le microimprese continuano a rimanere indietro: per le grandi imprese è aumentato del 7,2%; per le medie imprese è aumentato del 6,6%; per le piccole imprese con 20-49 addetti è aumentato del 5,2%; per le piccole imprese con 10-19 addetti è aumentato del 4,6%; per le microimprese è aumentato dell’1,2%.
Un capitolo a parte merita il mondo dei gruppi d’impresa che, pur rappresentando solo il 4,2% del totale (poco più di 190mila aziende), generano quasi il 58% del valore aggiunto complessivo. Queste realtà, che comprendono sia gruppi domestici sia multinazionali e sono più grandi, più capitalizzate, più produttive.
Nel 2023, i lavoratori nelle imprese appartenenti a gruppi sono cresciuti del 6,1%, con picchi del 10,6% nei gruppi domestici e del 4,6% nelle multinazionali estere.
Tuttavia l’aumento del costo del lavoro in queste strutture è superiore alla media, ma non necessariamente deve essere letto in maniera negativa. Il personale costa di più, ma rende anche di più. La produttività nominale del lavoro nelle imprese in gruppo sfiora i 90mila euro per addetto, contro i 40.400 euro delle imprese indipendenti.
Le grandi imprese in gruppo, pur essendo solo il 2% del totale, producono oltre il 57% del valore aggiunto dei gruppi e rappresentano un pilastro dell’occupazione qualificata in Italia.
Il costo del lavoro qui cresce più rapidamente (+7,2%) anche perché queste aziende concentrano le funzioni manageriali, di ricerca e sviluppo e di controllo strategico, ruoli ad alta remunerazione.
Un altro aspetto che emerge dal report è la divergenza tra valore aggiunto e fatturato.
Nel 2023 il valore aggiunto delle imprese è aumentato del 7,3%, mentre il fatturato complessivo è diminuito del 2,2%. Una dinamica che riflette, da un lato, la riduzione dei costi per beni e servizi (-7,4%), e dall’altro l’effetto dell’inflazione e del maggior peso dei costi salariali.
Nonostante la pressione sul margine operativo, molte imprese hanno reagito aumentando la produttività e gli investimenti.
L’investimento medio per addetto è salito da 7.600 a 8.400 euro (aumento dell’11%), con punte più alte nei servizi e nelle costruzioni. Tuttavia, il margine operativo lordo (Mol) è cresciuto del 9,2%, segno che le imprese hanno saputo mantenere una buona redditività, almeno nel breve periodo.
Per alcune categorie, come le medie imprese (11,2%) e le piccole della classe 10-19 addetti (14%), l’efficienza è addirittura migliorata, compensando in parte l’aumento del costo del lavoro.

