Oggi la tecnologia degli smartphone, è parte sostanziale della vita delle persone. Usarla impropriamente al lavoro può però costare caro, specialmente quando, anche solo potenzialmente, è in grado di incidere sulla sicurezza di persone e ambienti.
La sentenza n. 541/2025 del tribunale di Parma lo ribadisce e rappresenta un palese esempio di come il confine tra libertà personali e doveri lavorativi debba essere gestito con estrema attenzione. Altrimenti è facilissimo cadere nella contestazione disciplinare e in conseguenze sanzionatorie anche molto gravi, come il licenziamento.
La disputa in oggetto riguardava un addetto alla movimentazione merci, licenziato per giusta causa in base alle regole del Ccnl logistica, trasporto merci e spedizioni. Infatti, l’uomo era stato beccato a utilizzare il proprio smartphone mentre guidava un mezzo elettrico in magazzino.
Come emerso in corso di causa, il dipendente era intento a guardare un video, distogliendo così la propria attenzione dalle delicate mansioni contrattuali che stava svolgendo.
Non solo. In quel momento il dipendente indossava i suoi auricolari, che aveva nascosto sotto le cuffie aziendali fornite per la protezione acustica. E, nonostante i richiami dei preposti e del responsabile, aveva continuato la marcia senza fermarsi, ignorando del tutto le istruzioni dei superiori.
Oltre all’insubordinazione, un comportamento come questo, soprattutto in un contesto operativo ad alto rischio di incidenti e infortuni, è stato considerato di estrema gravità da parte dell’azienda datrice.
Al licenziamento in tronco, il lavoratore aveva risposto con un ricorso presso il giudice del lavoro, lamentando l’insussistenza dei fatti contestati e la sproporzione della sanzione.
Non solo. A suo dire, il recesso unilaterale andava invalidato anche per la presenza di problematiche organizzative, tra cui la mancata affissione del codice disciplinare negli spazi aziendali.
La lite in tribunale che conseguì all’espulsione non si concluse positivamente per l’addetto alla movimentazione merci. Infatti, il tribunale di Parma ha valutato come pienamente corretto il licenziamento disciplinare, ribadendo principi importanti in tema di diligenza, sicurezza e proporzionalità dei provvedimenti disciplinari contro i dipendenti.
Sostanzialmente sono stati tre gli elementi chiave che hanno inchiodato l’uomo alle sue responsabilità: uso non autorizzato dello smartphone; auricolari nascosti per ingannare l’azienda; insubordinazione – ossia il palese rifiuto di applicare le direttive del datore di lavoro.
Questi fattori hanno portato il giudice competente a qualificare il comportamento non come una semplice disattenzione o momentanea distrazione, ma come una deliberata violazione sia delle regole aziendali, sia delle più basilari norme antinfortunistiche e di sicurezza, di cui al d. lgs. 81/2008.
In breve, il comportamento era destinato a incrinare in modo irreparabile il rapporto fiduciario con il datore.
Il giudice, richiamando l’orientamento costante della Cassazione (tra cui Cass. n. 2013/2018), ha così ribadito che, da una parte, è vero che la prova dei fatti contestati spetta al datore e che il dipendente può solo provare elementi che escludano o attenuino la sua responsabilità.
D’altra parte è altrettanto vero che l’istruttoria, svolta in aula, non ha fatto altro che confermare la dinamica descritta dall’azienda, escludendo ogni possibile equivoco o ambiguità. Decisive sono state, in particolare, le testimonianze dei presenti.
Chiariti e accertati i fatti, il giudice del lavoro ha valutato la proporzionalità della sanzione, elemento essenziale nel licenziamento per giusta causa. Ebbene, la valutazione compiuta in sentenza è molto chiara perché ha tocca due precisi aspetti: la condotta era oggettivamente pericolosa, dato che utilizzare uno smartphone durante la guida di un mezzo elettrico in un magazzino logistico significa esporre a grave pericolo l’incolumità propria e degli altri, oltre a mettere in pericolo beni e infrastrutture aziendali; il lavoratore ha agito con piena consapevolezza e quindi con dolo, perché, cercando di nascondere gli auricolari, ha violato le regole di diligenza e correttezza, sfidando apertamente i richiami dei superiori e proseguendo alla guida nonostante l’ordine di fermarsi.
Importante notare anche che, per il giudice, questo comportamento non può essere ricondotto alla provata negligenza prevista dall’art. 32 del contratto collettivo di riferimento, che prevede sanzioni conservative come multa o sospensione.
Si trattava invece di un comportamento così grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto. In casi come questo, vale infatti quanto previsto dall’art. 2087 Codice Civile sugli obblighi di tutela delle condizioni di lavoro, per cui l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Ecco perché il licenziamento è stato un provvedimento congruo e proporzionato alla gravità dei fatti accertati.
Come accennato sopra, tra le difese del lavoratore c’era anche la mancata affissione del codice disciplinare. Ma, anche su questo punto, la giurisprudenza è molto chiara: quando il comportamento riguarda la violazione di doveri fondamentali del rapporto e di cui si ha menzione nella legge vigente, la conoscenza del codice non ha rilievo.
Il tribunale ha richiamato il principio per cui obblighi come quello di diligenza, obbedienza e rispetto delle norme di sicurezza, fanno parte del cosiddetto minimo etico richiesto a un dipendente. Sono regole intuitive e note a chiunque, indipendentemente da una formale previsione scritta.
Perciò, anche mancando il codice, non può giustificarsi una condotta palesemente pericolosa e contraria ai più elementari doveri di prudenza. Il tribunale ha così confermato l’espulsione.
La sentenza è importante perché ci indica che l’uso del cellulare durante l’orario lavorativo e lo svolgimento di mansioni potenzialmente pericolose, non è mai un’infrazione lieve.
E i tentativi di dissimulare la propria cattiva condotta, insieme alla disobbedienza ai richiami, aggravano ulteriormente la propria posizione. L’insubordinazione è punita severamente, come dimostra costante giurisprudenza – si pensi al caso di una lavoratrice che insulta il capo.
D’altronde va da sé che la sicurezza sul lavoro sia un valore primario e costituzionale, tanto che la sua violazione può legittimare il provvedimento espulsivo anche in assenza di danni a cose o persone.
In un’epoca in cui cellulari e dispositivi digitali sono ovunque, questa sentenza ci ricorda che la tecnologia va però gestita con responsabilità e specialmente sul luogo di lavoro. Quando si maneggiano mezzi e attrezzature (si pensi anche solo al settore di trasporti o a quello dell’edilizia) la distrazione è sanzionabile e può trasformarsi in un rischio grave.

