
Il fenomeno dei cosiddetti Neet, acronimo che sta per Not in Education, Employment or Training continua ad essere molto preoccupante in Italia nonostante siano in calo rispetto al 2019, quando avevano raggiunto la quota di 3 milioni. Secondo i dati più recenti, essi oggi si attestano a 1 milione e 300 mila, pari al 15,2% della popolazione tra i 15 e i 29 anni.
L’Italia, quindi, si posiziona subito dopo la Romania e ben distante dalla media europea che si ferma all’11% e, soprattutto, dalla Germania che si attesta all’8,5%: la strada per raggiungere il 10% che è il target fissato dall’Europa per il 2030 è, quindi, ancora lunga.
A dirlo è stata l’economista Veronica De Romanis sulle pagine de La Stampa. La stessa studiosa ha poi rimarcato quanto sia difficile combattere questo fenomeno in quanto molto eterogeneo:
“Si va da chi il lavoro non lo cerca, ossia gli inattivi, a chi è disoccupato da oltre un anno fino al laureato che passa da un’occupazione all’altra. Per questo le soluzioni devono essere mirate e personalizzate. E ciò richiede visione e analisi affinché si possa assicurare inclusione all’insegna delle diversità, due parole che ahimè non vanno più molto di moda”.
Sta di fatto che un Paese con un esercito di giovani tra i 15 e i 29 anni che rischiano di non avere un futuro difficilmente potrà crescere e prosperare. I Neet rappresentano una perdita potenziale e talvolta permanente di capitale umano. Ma non solo, ha osservato De Romanis: “Generano anche un aggravio per la finanza pubblica. Meno entrate fiscali, più spesa per assistenza e welfare e, in ultima istanza, un debito più elevato. Un peso che finirà per gravare proprio sui giovani, inclusi i Neet. Un circolo vizioso che va spezzato. Secondo le stime di Eurofound, il costo per le casse dello Stato ammonta a circa 21 miliardi l’anno: poco meno di una Legge di Bilancio”.
E comunque: i Neet sono concentrati per lo più al Sud. In Calabria sono il 26%; in Trentino e in Veneto meno del 7%. E poi: il dato delle giovani donne Neet è di circa 4 punti superiore a quello degli uomini, un divario doppio rispetto alla media europea.
Come uscire dal tunnel?
Per De Romanis, “dai dati risulta evidente quanto la formazione sia cruciale, intesa in senso ampio: tecnica, duale e continua. E di base. Qualche passo in avanti è stato compiuto con il Pnrr che ha fatto investire 1,5 miliardi negli Istituti Tecnici Superiori. Ma ora bisogna continuare a rafforzarli: basti pensare che in Italia vi si diplomano circa 10 mila giovani a fronte di oltre un milione in Germania”.