Per dare una scossa al mondo del lavoro, occorrerebbe mettere a terra tutto il potenziale del Pnrr: questo, nel dibattito pubblico, è pacifico fin da quando, con la pandemia, l’Unione Europea, all’inizio del 2021, ha deciso di dare credito all’Italia per oltre 190 miliardi di euro.
Sta di fatto, però, che le difficoltà della burocrazia italiana, ancora una volta, si fanno sentire tutte. L’ultima arriva sul fronte della transizione dal vecchio al nuovo Codice degli appalti.
Il processo, inaugurato il primo luglio scorso con il freno a mano tirato della qualificazione delle stazioni appaltanti, si complica con un nuovo ma fondamentale tassello: la digitalizzazione di tutta la macchina delle gare.
In effetti, si tratta di una strettoia complessa. Ma che, una volta attraversata, promette di alleggerire il carico burocratico sulle spalle della pubblica amministrazione e degli operatori economici.
Entro il primo gennaio prossimo, 5-6mila stazioni appaltanti qualificate dovranno poter contare su piattaforme digitali certificate in grado di dialogare con la banca dati nazionale dei contratti pubblici governata da Anac. Ad oggi, però, quelle in regola con questo passaggio sono davvero poche: solo dieci. E pensare che, dall’inizio del prossimo anno, tra meno di due mesi e mezzo quindi, senza piattaforma, non si potrà più bandire gare pubbliche, comprese quelle del Pnrr.
Un po’ di preoccupazione, quindi, è più che lecita: non si può escludere che la macchina delle gare vada in black out. Tant’è che ai piani alti della macchina amministrativa, nonostante il parere contrario del presidente di Anac Giuseppe Busia, si starebbe valutando l’opportunità di aprire un paracadute sui bandi Pnrr con una esclusione momentanea dalle regole della digitalizzazione. Un paradosso, se pensiamo che è stato proprio il Pnrr (con l’Unione Europea) a decretare la riforma con le nuove regole per gli appalti.
In ogni caso, la qualificazione delle stazioni appaltanti è una partita che è iniziata a luglio ma che ha ancora un esito incerto. Al termine, delle 26mila stazioni tra attive e silenti dovranno sopravvivere in 5-6mila, ma tutte moderne, efficienti e, come detto, digitalizzate. Fino a dieci giorni fa, però, a detta di Anac, hanno conquistato la qualificazione in 3.222.
Proprio per questo, l’authority spinge per un colpo di acceleratore non smettendo di spiegare che i benefici potrebbero ripagare la fatica. L’e-procurement non solo farà sparire le carte, ma stazioni appaltanti, imprese e enti locali saranno interconnessi tra loro in un unico flusso informativo. In più, tutte le fasi di gara saranno gestite attraverso le piattaforme, inclusa la trasmissione dei dati alla banca dati Anac.
Inoltre, farà il suo debutto il fascicolo virtuale dell’operatore economico costruito da Anac: tutte le informazioni su una impresa saranno immediatamente consultabili. Quindi, casellario giudiziale certificati antimafia, regolarità fiscale e contributiva saranno a portata di clic. E l’impatto potrebbe essere davvero dirompete tanto più che tutti i dati e i documenti potranno essere aggiornati automaticamente dagli enti certificatori come Inps, Inail, Agenzia delle Entrate, Ministero della Giustizia e dell’Interno, grazie all’interoperabilità. Di conseguenza, potranno essere consultati dalle stazioni appaltanti e riutilizzati in tutte le procedure di affidamento a cui uno stesso operatore economico partecipa.