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Sindacati italiani: rappresentano ancora i lavoratori o solo sé stessi?

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Una buona parte di quelle tessere non appartiene a lavoratori attivi, ma a pensionati o a chi si iscrive solo per usufruire dei servizi di CAF e patronati

Nel dibattito pubblico italiano i sindacati restano protagonisti fissi. Parlano a nome dei lavoratori, siedono ai tavoli con il governo, rivendicano un ruolo esclusivo di rappresentanza.

Ma la realtà, dietro i numeri che diffondono, racconta tutt’altro.

Secondo le dichiarazioni delle tre grandi confederazioni — CGIL, CISL e UIL, la storica “triplice” — in Italia ci sarebbero oltre 11 milioni di iscritti. Una cifra imponente, che se fosse reale significherebbe un tasso di sindacalizzazione tra i più alti d’Europa. Peccato che una buona parte di quelle tessere non appartenga a lavoratori attivi, ma a pensionati o a chi si iscrive solo per usufruire dei servizi di CAF e patronati.

Uno studio della Fondazione Di Vittorio (CGIL) e analisi del CNEL lo dicono chiaramente: tra il 30% e il 40% degli iscritti non partecipa alla vita sindacale, e in molti casi non versa nemmeno la quota.

Se si considerano solo i lavoratori effettivamente attivi, la base reale scende a circa 5,5 milioni di persone.

Aggiungendo le altre sigle (UGL, CONFSAL, CISAL, USB, COBAS, ecc.), si arriva a 6–7 milioni di iscritti veri su oltre 24 milioni di occupati.

Tradotto: solo un lavoratore su quattro è sindacalizzato.

Eppure, con questi numeri, la triplice continua a parlare come se rappresentasse tutti. Un potere costruito più sulla storia e sull’autocertificazione che su una verifica reale. Le istituzioni — CNEL, ministeri, tavoli di concertazione — accettano i dati forniti dagli stessi sindacati, senza alcun controllo esterno.

Un sistema chiuso, autoreferenziale, dove chi dichiara di rappresentare ottiene automaticamente riconoscimento politico.

Ma in questo scenario viene spontaneo chiedersi:
che spazio resta per le altre organizzazioni sindacali, le tante realtà autonome, territoriali e “minori” che operano quotidianamente nei luoghi di lavoro?

Spesso sono più piccole, ma più vicine alla base, con iscritti autentici e una rappresentanza concreta.

Perché molti lavoratori oggi scelgono loro, e non gli storici?

Forse perché trovano risposte reali, meno ideologia, più presenza e ascolto.

La crisi della rappresentanza è ormai evidente. Il mondo del lavoro è cambiato, frammentato, precario, e i sindacati “di sempre” sembrano parlare ancora il linguaggio del Novecento.

La domanda, allora, è semplice ma decisiva: chi rappresentano davvero i sindacati italiani?
E fino a quando potremo fingere che quei numeri gonfiati raccontino la realtà di chi lavora oggi?

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Autore - Articoli pubblicati: 207

Segretario Generale Confederazione SELP

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