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Il paradosso dell’Italia: si lavora di più, ma non si guadagna di più

Nel 2023, il 42,7% dei nuovi occupati ha trovato lavoro in attività a basso reddito

In Italia si lavora di più, ma non si guadagna di più. Questa, in estrema sintesi, è la fotografia che emerge dall’analisi Istat pubblicata a fine novembre e dedicata a mercato del lavoro e redditi. Il report, che ha incrociato i dati occupazionali 2018-2023 con quelli reddituali delle famiglie (2018-2022), ci permette di capire molte delle dinamiche in corso. Ovvero, la crescita dell’occupazione è reale e robusta, ma gli stipendi non seguono lo stesso ritmo. E non solo, i nuovi ingressi nel mercato del lavoro finiscono sempre più spesso in attività e professioni a basso reddito.

Nel 2023, infatti, il 42,7% dei nuovi occupati ha trovato lavoro in attività a basso reddito, mentre solo il 6,9% è entrato in professioni ad alto reddito. Una polarizzazione che racconta più di molti indicatori la qualità dell’occupazione in Italia. Si lavora cioè di più, ma troppo spesso con compensi modesti e prospettive di crescita limitate.

Eppure, il mercato del lavoro italiano continua a mostrare segnali di recupero.

Già nel 2023 il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni era aumentato dal 60,1% al 61,5%, mentre la disoccupazione era scesa dall’8,2% al 7,8%.

Il 2024 ha poi consolidato questo trend. C’è stato, cioè, un miglioramento generalizzato, che però presenta differenze importanti legate:

  • al reddito delle famiglie;
  • al territorio;
  • all’età;
  • al livello di istruzione.

Le famiglie con redditi più bassi sono quelle che nel 2023 hanno sperimentato gli incrementi maggiori nel tasso di occupazione (tra il 2,3% e il 2,7%).

Questo significa che molte persone che vivevano in famiglie a reddito basso sono entrate nel mercato del lavoro o hanno trovato una forma più stabile di occupazione. Il problema, però, è che tipo di occupazione. Le stesse fasce sono infatti quelle più esposte a contratti non continuativi, stipendi bassi e scarse prospettive di crescita.

Anche sul fronte territoriale, la crescita non è uniforme.

Il Sud, tradizionalmente penalizzato, nel 2023 mostra un tasso di occupazione pari al 48,2%, ancora molto lontano dai livelli del Nord, ma con un incremento analogo a quello del Nord Est (+1,5% rispetto al 2022).

Nel Nord Est, la fascia più povera della popolazione è cresciuta del 5,6%, al Centro il medesimo gruppo registra +3,9%. Segno che le famiglie con redditi bassi trovano lavoro, ma non necessariamente lavoro di qualità.

Un dato coerente con il fatto che la quota di nuovi occupati in professioni a basso reddito resta elevata.

La crescita dell’occupazione interessa diverse fasce d’età, ma emerge una tendenza doppia.

I giovani 25-34enni, cioè, salgono al 68,1% di occupazione (+2%) e nella fascia più povera l’aumento arriva addirittura a +5%.

Gli over 55 (55-64 anni) registrano l’incremento più marcato: +2,3%, con un picco di 3,5 punti percentuali nel secondo quinto di reddito.

Quindi, da un lato, i giovani tornano a lavorare più di prima, ma dall’altro molte persone vicine all’età pensionabile restano nel mercato del lavoro, spesso per necessità economica o per redditi insufficienti.

La fotografia Istat conferma un altro divario strutturale, ovvero che le donne lavorano meno degli uomini e, spesso, in ruoli meno retribuiti. La distanza è particolarmente ampia per i redditi più bassi, dove il tasso di occupazione maschile è del 66,2%, e quello femminile appena del 38,7%.

Anche nelle famiglie più ricche il gap rimane, ma si riduce:

  • 83% uomini;
  • 75,3% donne.
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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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