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“E tu, perchè non ti sposi?” Una risposta dati economici alla mano

In Italia è sempre più difficile fare il grande passo. Se si vogliono dei figli, poi, bisogna fare i conti con un notevole divario occupazionale tra uomini e donne

Una delle domande impertinenti a cui i single sono più abituati è la seguente: “E tu? Perché non ti sposi?”. Molti cadono in un evidente imbarazzo. Ma una risposta la potrebbero ricercare in una motivazione prettamente economica. Citando i dati dell’Osservatorio Destination Weddings in Italy, occorrono troppi soldi per compiere il gran passo. Almeno quello inteso in senso tradizionale.

Per il giorno del sì da spendere in chiesa e con un ricevimento, occorrono in media 24.500 euro secondo il Libro Bianco del Matrimonio. Così, l’Osservatorio Compass ha calcolato anche che sono più di 8 su 10 gli italiani che si pongono il problema e, sempre più spesso, ripiegano sul cosiddetto “matrimonio simbolico”, deviando così dai costi che impone anche solo il matrimonio civile. Quest’ultimo, se lo si vuole in una location autorizzata per la cerimonia, mediamente, può costare fino a 500 euro.

Sta di fatto che, al di là di come si vuole celebrare il matrimonio, è sempre più difficile soprattutto per i giovani metter su famiglia. Soprattutto se si ha idea di mettere al mondo dei bambini, c’è da scontare, tra le altre cose, anche un notevole divario occupazione tra uomini e donne.

In pratica, stando allo studio di Save the Children su dati Istat 2022, più figli si fanno, più esso aumenta impietosamente. E’ stato calcolato che, senza figli, il tasso di occupazione delle donne è del 67% mentre quello degli uomini del 76,1%. Con due o più figli minori, invece, lo scenario cambia radicalmente con questi numeri: tasso di occupazione che si ferma al 56,1% per le donne e che, al contrario, schizza al 90,8% per gli uomini.

In pratica, ancora oggi, le donne devono decidere se lavorare o avere figli. Gli uomini, al contrario, possono avere figli e lavorare di più. Tanto che si parla di Motherhood Penalty e di Paternity Bonus: si va ad innescare una dinamica di ruolo, con la donna che lascia il lavoro per occuparsi dei figli mentre si considera che l’uomo diventi più produttivo per provvedere alla famiglia.

Naturalmente, a fare la differenza è ancora troppo spesso la mancanza di servizi che possano far conciliare maternità e lavoro. A distanza di 3 mesi dalla nascita del figlio (che in generale coincide con la fine del congedo di maternità), quasi 1 donna su 5 dichiara di aver smesso di lavorare. Nel 71,8% dei casi sono le lavoratrici madri a lasciare il lavoro contro il 28,2% dei padri. E qui sorgerebbero delle domande ben più imbarazzanti.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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