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Mente & sicurezza. Il vero nodo della sicurezza sul lavoro: il comportamento umano

Esiste oggi uno strumento normativo che approfondisca davvero la dimensione comportamentale degli infortuni?

Quando parliamo di sicurezza sul lavoro pensiamo, quasi automaticamente, a norme, dispositivi di protezione, procedure, DVR, corsi obbligatori. Tutto vero. Ma se vogliamo davvero incidere sul numero di infortuni e malattie professionali, dobbiamo avere il coraggio di spostare il fuoco: dalla carta alla persona, dalla norma al comportamento umano.
Perché tutti gli atti della nostra vita – anche quelli lavorativi – sono regolati dal comportamento. E sicurezza sul lavoro significa, innanzitutto, modo in cui uomini e donne pensano, percepiscono il rischio, decidono e agiscono in un determinato contesto organizzativo.

In altre parole: se parliamo di sicurezza, stiamo parlando di esseri umani e del loro comportamento.

Dalla norma alla psicologia: un cambio di prospettiva necessario

Negli ultimi decenni il mondo della sicurezza ha compiuto un passo importante: ha riconosciuto che la salute del lavoratore non è solo fisica, ma anche psicologica.

La Direttiva 89/391/CEE ha posto le basi, introducendo il concetto di tutela della salute nel senso più ampio, fisico e psichico. In Italia, questo cambio di paradigma è entrato in modo esplicito con il D.Lgs. 81/2008, dove l’art. 28 stabilisce che la valutazione dei rischi deve comprendere anche quelli legati allo stress lavoro-correlato.
Dal 31 dicembre 2010 la valutazione dello stress lavoro-correlato non è più una buona pratica: è un obbligo.

È stato un passo avanti enorme: per la prima volta vengono riconosciuti, dentro il quadro normativo, i fattori psicologici che incidono sulla salute delle persone.

Da una parte restano i rischi “classici” – agenti fisici, chimici, biologici, macchine, attrezzature – dall’altra vengono introdotti i rischi connessi all’organizzazione: carichi di lavoro, turni, relazioni, clima aziendale, conflitti, incertezza di ruolo.

Eppure, questo non basta.

Stress lavoro-correlato: un primo, importante passo (ma non il punto di arrivo)
La Commissione Consultiva Permanente (2010) ha definito un metodo strutturato per valutare lo stress lavoro-correlato, basato su:
• indicatori oggettivi (i cosiddetti “eventi sentinella”),
• fattori di contenuto del lavoro (carichi, ritmi, ruoli, risorse),
• fattori di contesto (clima, relazioni, leadership, comunicazione),
• ed eventuale valutazione approfondita tramite questionari, focus group, interviste.

La valutazione si articola in due fasi:
1. Valutazione preliminare (obbligatoria per tutte le aziende)
Basata su dati oggettivi: assenze per malattia, infortuni, turn-over anomalo, reclami, idoneità limitate, turnistica, carichi, chiarezza dei ruoli, clima organizzativo, stile di comando, comunicazione interna.
L’output dovrebbe essere un report con un piano di miglioramento e tempi di monitoraggio.
2. Valutazione approfondita (se necessaria)
Scatta quando emergono criticità non risolte o eventi sentinella gravi.
Qui entrano in gioco strumenti “soggettivi”: questionari validati, focus group, interviste strutturate.

Fin qui, il quadro normativo. Ma in azienda, concretamente, chi redige questa valutazione?
Spesso vengono coinvolte figure poco esperte sul piano psicologico: il legislatore, a differenza di altri ambiti (es. Medico Competente), non impone la presenza di uno psicologo del lavoro.
E così, ciò che nasce come opportunità per inserire lo sguardo psicologico nella sicurezza, rischia talvolta di ridursi a un adempimento burocratico, una “scheda da compilare” più che un processo di reale comprensione del disagio organizzativo.

La grande assente: una vera sicurezza “comportamentale”

Ed eccoci al punto.

Nel mare di obblighi, allegati, articoli di legge, esiste oggi uno strumento normativo che approfondisca davvero la dimensione comportamentale degli infortuni? La risposta, ad oggi, è no.

Fra addetti ai lavori si parla sempre più di sicurezza comportamentale, di safety coaching, di leadership della sicurezza. Ma queste restano, spesso, iniziative volontarie, progetti avanzati che alcune aziende lungimiranti decidono di avviare. Non sono ancora un pilastro del sistema.
Eppure, nei miei quasi 25 anni di attività nelle aziende – tra consulenza, corsi, incontri, sopralluoghi, confronti con migliaia di lavoratori – il quadro è chiarissimo: se vogliamo davvero ridurre la curva dei morti e degli infortuni sul lavoro, dobbiamo mettere il comportamento umano al centro della formazione, della valutazione dei rischi e delle politiche aziendali.

Nel prossimo articolo parleremo della correlazione tra comportamento e infortuni

Cos’è, davvero, il comportamento umano?

Il comportamento non è solo “ciò che facciamo”: è il modo in cui la nostra mente, il nostro corpo e la nostra storia si traducono in azione.
Possiamo definirlo come l’insieme delle azioni, reazioni e modalità di risposta che una persona mette in atto di fronte a:
• stimoli interni: pensieri, emozioni, bisogni, paure, motivazioni;
• stimoli esterni: ambiente fisico, relazioni, regole, richieste, tempi, carichi.
È la parte “visibile” di qualcosa di molto più complesso, determinato dall’intreccio di:
1. Processi biologici
Sistema nervoso, temperamento, predisposizioni genetiche, funzionamento neuroendocrino.
2. Componenti psicologiche
Emozioni, credenze, motivazione, tratti di personalità, stile cognitivo.
3. Influenze sociali e relazionali
Famiglia, colleghi, gruppo di lavoro, status, dinamiche di potere, comunicazione.
4. Aspetti culturali
Norme, valori, modelli appresi.
5. Esperienze personali e significati
Storia lavorativa, successi, errori, traumi, aspettative, paure, ciò che la persona ha imparato a “leggere” nel proprio contesto.
Una cosa, però, è fondamentale:
Il comportamento ha sempre una funzione.
Non è mai completamente casuale.
Serve a:
• ridurre tensioni interne,
• soddisfare bisogni (fisici, emotivi, sociali),
• ottenere un risultato (finire prima, fare bella figura, evitare un rimprovero),
• proteggersi da una minaccia (reale o percepita),
• mantenere un minimo equilibrio psicologico.
Anche i comportamenti apparentemente “assurdi” o “disfunzionali” hanno, in realtà, una logica interna. Spesso è inconscia, ma c’è.

In sintesi:
Il comportamento umano è il modo concreto con cui l’individuo si adatta, sopravvive e interagisce con l’ambiente, esprimendo bisogni, emozioni, valori e significati attraverso azioni osservabili.
Nel prossimo articolo parleremo della correlazione tra comportamento e infortuni

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