206 visualizzazioni 8 min 0 Commenti

La classifica dei Paesi europei dove i pensionati continuano a lavorare

Secondo Eurostat, è un'abitudine diffusissima soprattutto in Scandinavia. Non solo per ragioni economiche

Lavorare dopo la pensione non è più un’eccezione, ma una realtà in espansione, soprattutto tra i lavoratori autonomi. In Europa, il fenomeno assume caratteristiche molto diverse da Paese a Paese, tra esigenze economiche, desiderio di restare attivi e modelli di welfare disomogenei.

A raccontarlo è l’ultimo rapporto di Eurostat, che fotografa come, nel 2023, oltre il 9% dei pensionati europei abbia deciso di restare nel mercato del lavoro, con picchi vicini al 100% nei Paesi nordici.

“L’indennità non è sufficiente” oppure “ho ancora molto da dare”: sono le due ragioni principali che spingono i pensionati europei a continuare a lavorare.

In Italia, il fenomeno è particolarmente diffuso tra i lavoratori autonomi: su 100 pensionati che restano attivi, oltre 56 sono “partite Iva” che, raggiunta l’età pensionabile, proseguono la propria attività o avviano nuove collaborazioni.

Sta di fatto che, come accennato, lo scenario europeo tracciato da Eurostat mostra un’Europa a più velocità. I tassi di occupazione post-pensionamento variano sensibilmente da Paese a Paese, in base alla struttura del sistema previdenziale e alle opportunità offerte dal mercato del lavoro.

Nel 2023, la percentuale più alta di pensionati anziani autonomi ancora attivi si è registrata in Svezia (98,4%), seguita da Finlandia (88,0%) e Irlanda (87,7%). All’estremo opposto, Spagna (18,2%), Grecia (20,3%) e Slovenia (40,4%) fanno registrare i dati più bassi.

L’Italia si colloca a metà classifica, tra Belgio e Romania. “È un fenomeno che conosciamo bene — spiega Fausto Durante, segretario della Cgil Sardegna ed ex membro del CdA del Cnel — Le pensioni sono troppo basse, quindi molti sono costretti a trovare un secondo reddito per mantenere uno standard di vita dignitoso. Il fenomeno riguarda soprattutto gli autonomi”.

Durante ricorda anche un episodio emblematico: “Qualche mese fa un uomo ultra-settantenne è morto in un incidente sul lavoro. Lavorava con un contratto a progetto. Un dramma che sottolinea come, per molti, la pensione non basti, e si sia costretti a “fare i salti mortali” per integrare il reddito”.

Da qui l’appello alle istituzioni: “Serve una revisione del sistema contributivo e pensionistico. La maggior parte delle pensioni oggi non supera i mille euro”.

Le ragioni che spingono a lavorare dopo la pensione non sono soltanto economiche. Alcuni vogliono trasmettere competenze, altri restano nel mercato del lavoro per sentirsi ancora parte di una comunità, o semplicemente perché il partner è ancora attivo professionalmente.

Nel 2023, secondo Eurostat, il 10,2% dei pensionati europei tra i 50 e i 74 anni risultava ancora occupato. Tra questi, oltre la metà (57%) lavorava a tempo parziale: una scelta spesso necessaria per bilanciare attività lavorativa e salute o impegni familiari.

Una percentuale molto più alta rispetto ai lavoratori non pensionati della stessa fascia d’età (16,2%).

Le differenze nazionali sono marcate. In Croazia, ad esempio, l’89,4% dei pensionati occupati lavora part-time, contro appena il 3,4% dei non pensionati, con un divario di oltre 86 punti percentuali. Seguono Svezia (79,2%) e Belgio (78%).

In fondo alla classifica troviamo Bulgaria, con solo il 9,2% dei pensionati impiegati part-time, Lettonia e Lituania, con tassi rispettivamente del 23,2% e 19%.

In Spagna, il rientro al lavoro dopo il pensionamento è un’eccezione più che una regola. Solo il 4,9% dei cittadini tra i 50 e i 74 anni continua a lavorare dopo aver ricevuto la pensione, uno dei tassi più bassi dell’Eurozona. Le ragioni sono molteplici. Da un lato, il sistema pensionistico spagnolo è tra i più generosi in Europa: l’assegno può arrivare a sostituire tra il 70% e l’80% dell’ultimo stipendio, riducendo la necessità economica di restare attivi. Dall’altro, una normativa rigida ha storicamente penalizzato la combinazione tra pensione e lavoro, soprattutto per i lavoratori dipendenti. Sebbene esistano formule come la “jubilación activa”, che permette di lavorare senza limiti di orario dopo il raggiungimento dell’età pensionabile legale, la cultura del lavoro spagnola tende ad associare la pensione al ritiro totale, al riposo, e non alla continuità. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, solo il 18,8% dei lavoratori attivi post-pensione lo fa per bisogno economico: per gli altri prevalgono ragioni sociali o motivazioni personali, come il fatto che il coniuge lavori ancora o il desiderio di mantenersi occupati.

Nel 2024, la Repubblica Ceca contava circa 195 mila pensionati occupati, di cui la metà aveva superato i 67 anni. Più dell’80% era regolarmente impiegato come dipendente, il resto lavorava con contratto o come autonomo. Un dato in crescita costante: secondo l’Istituto di statistica ceco, nel 2021 i pensionati attivi rappresentavano oltre il 10% della forza lavoro.

Questo aumento è stato accompagnato da una profonda riforma pensionistica, varata a fine 2024, che ha alzato l’età pensionabile, rallentato l’indicizzazione degli assegni e introdotto esenzioni contributive per i pensionati che lavorano. Dal 2025, infatti, chi continua a lavorare dopo il pensionamento non paga più i contributi previdenziali, ottenendo un beneficio netto stimato in circa 52 euro al mese per redditi medi. L’obiettivo del governo è doppio: garantire sostenibilità al sistema e incentivare il lavoro tra gli anziani, puntando su un approccio più flessibile e fiscalmente vantaggioso. Non mancano però critiche dall’opposizione, che definisce la riforma “un collage di misure prive di visione”.

In Grecia, le statistiche ufficiali indicano solo 50 mila pensionati che lavorano. Ma si tratta di un dato ampiamente sottostimato: il lavoro non dichiarato è storicamente diffuso e, secondo il Ministero del Lavoro, il numero reale è molto più alto. Nel 2023 il governo ha cercato di contrastare l’evasione abolendo il taglio del 30% sulle pensioni per chi lavora e introducendo sanzioni severe: chi non dichiara l’attività lavorativa rischia una multa pari a 12 mesi di pensione. Tuttavia, le trattenute contributive restano elevate, rendendo poco vantaggioso lavorare regolarmente.

Per i dipendenti pensionati si aggiunge un 10% extra di trattenute, mentre per gli autonomi (come medici, avvocati o agricoltori) il prelievo può arrivare al 50% del reddito lordo. Un esempio emblematico è quello di un imbianchino 68enne, ritirato formalmente ma attivo con tariffe più basse rispetto ai colleghi. “Non me la sento di chiedere gli stessi prezzi — ha dichiarato — loro devono pagare i contributi, io no”. Una testimonianza che racconta non solo l’informalità diffusa, ma anche il disagio etico ed economico che accompagna molti pensionati attivi in Grecia.

Avatar photo
Redazione - Articoli pubblicati: 1

Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

Twitter
Facebook
Linkedin
Scrivi un commento all'articolo