I numeri suggeriscono che sono calate le aziende dove vale ancora una rigida imposizione del dress code.
Senz’altro sono diminuite le imprese che lo impongono – nero su bianco – nel contratto. Ma è anche vero che siamo di fronte a regole non sempre scritte: pur senza leggi scolpite sulla pietra in certi settori – banche, assicurazioni, etc – moltissimi rimangono fedeli a uno stile più professionale e meno casual.
Una delle frasi che rimbombavano sui social nel 2020, in piena pandemia, era quella secondo cui ne saremmo usciti migliori. La certezza è che senz’altro ne siamo usciti più casual. Il lavoro da remoto che si è diffuso negli ultimi anni ha rivoluzionato le abitudini di molte persone, che in alcuni casi hanno appeso la camicia per indossare una più comoda tuta. Alzi la mano chi non le ha viste nelle call con i colleghi.
Secondo una ricerca condotta da Brightmine, tra il 2018 e il 2024 le società che imponevano giacca e cravatta o altri dress code da contratto sono calate dal 30% al 4,3%.
Questo non significa che ci sia un liberi tutti: il 55,8% delle imprese dà linee guida a voce, spiegando che cosa comunque si attende dai propri dipendenti.
In questi anni molte cose sono cambiate, a cominciare da un ingresso più ampio della Gen Z nel mercato del lavoro.
Secondo un sondaggio Randstad USA, il 33% dei lavoratori sarebbe perfino disposto a dimettersi nel caso in cui l’azienda decida di imporre un dress code. Rientra in tutti quei benefit che molti chiedono sempre di più come condizione per entrare in un’azienda. Se una persona viene assunta e sposa la visione della società, in cambio può pretendere la libertà di presentarsi come meglio preferisce in ufficio.
Molti però potrebbero obiettare che in certi mestieri l’abito conta, eccome. In alcuni casi, inutile negarlo, vale la massima secondo cui è impossibile fare una seconda buona prima impressione. O ci si presenta subito come affidabili e seri, oppure è complesso pretendere che un cliente/collega/responsabile dia un’altra chance.
Il dibattito sul dress code al lavoro ha registrato anche scene surreali come quando, a febbraio 2025, un giornalista americano ha preso in giro il presidente ucraino Zelensky, arrivato a Washington per chiedere aiuti militari, perché non indossava giacca e cravatta durante l’incontro con il presidente Trump.
Così come attorno all’argomento possono scoppiare casi legati a discriminazioni di genere: allo stesso Trump, durante il suo primo mandato, è stata attribuita una frase secondo cui le donne che lavorano alla Casa Bianca dovrebbero vestirsi “da donne”. Tacchi a spillo, gonne, il solito cliché. Moltissime utenti sui social hanno pubblicato foto in cui mostravano il proprio vero dress code (come quello di tre dottoresse in sala operatoria).
Anche se non sappiamo vestirci come si deve, ci sentiamo sempre in diritto di dire la nostra sul guardaroba imposto o su quello altrui. Viviamo in un’epoca dove molte delle scelte sull’abbigliamento si ispirano ai fit check che scrolliamo tra Instagram e TikTok, dove abbondano le guide su come vestirsi al meglio per andare in ufficio.
C’è chi fa spallucce e confida che si può indossare una felpa (magari brandizzata col nome dell’azienda) ed essere comunque molto seri e credibili di fronte ai clienti più esigenti. E poi c’è chi spiega che perfino nelle multinazionali non è tabù indossare una t-shirt. Come dimenticarsi poi di tutto il mondo delle tech company e delle startup dove viene data carta bianca allo stile.
Viviamo in un’epoca nella quale la moda è spesso usa e getta. Pochi possono permettersi il lusso di aggiornare di frequente il guardaroba. E infatti molti preferiscono affidarsi ad abiti di seconda mano comprati sulle app a prezzi convenienti. Come per le news è inutile illudersi di restare sempre al passo, oggi che i trend nascono e tramontano in pochissimo tempo, lasciandosi il nulla alle spalle.
Anche chi non si preoccupa del vestito che ha indosso si sentirà sempre coinvolto da un argomento come i vestiti. Fa senz’altro più rumore un’azienda che vieta una felpa di cento che si affidano al buon senso delle persone, lasciando che ciascuna decida come presentarsi in ufficio secondo la propria idea di comfort e di eleganza.

