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Scuola, quel divario tra uomini e donne che nessuno vuole vedere

Le ragazze hanno voti migliori, si laureano di più e sono protagoniste del mercato del lavoro a differenza dei coetanei. Eppure la politica non se ne cura, legittimando così l'ennesima disuguaglianza e pregiudicando lo sviluppo del Paese

Da qualche anno a questa parte si parla molto di divario tra uomini e donne. Giusto, anzi sacrosanto. Le retribuzioni degli uomini sono più alte di quelle delle donne, i percorsi professionali degli uomini sono più continui di quelli delle donne, le pensioni degli uomini sono più “pesanti” di quelle delle donne. C’è, però, un gap di cui nessuno parla e che, nella posizione dei soggetti svantaggiati, vede non le donne ma gli uomini. I giovani uomini, per la precisione. Sono loro, da trent’anni a questa parte, a laurearsi di meno e a beneficiare meno dell’aumento dell’occupazione. Una situazione, questa, che rischia di incidere negativamente sul mercato del lavoro e sullo sviluppo del Paese.
L’unico a cogliere i pericoli che si annidano in un simile scenario è stato Luca Ricolfi. In un suo recente lavoro, infatti, il sociologo ha evidenziato tre dati fondamentali. Il primo: dal 1991 a oggi, gli uomini si sono laureati molto meno rispetto alle donne, per la precisione dieci uomini ogni 15 donne. Ancora: alle scuole medie gli uomini riportano voti molto più bassi rispetto alle coetanee, soprattutto in una materia fondamentale come la matematica. Infine, un ulteriore campanello d’allarme: negli ultimi anni il tasso di occupazione è aumentato del 12% per quanto riguarda le donne, ma solo del 6 per quanto riguarda gli uomini.
Concretamente, che cosa significa tutto ciò? Innanzitutto che gli uomini studiano meno e incontrano difficoltà maggiori a scuola. Ciò si traduce in un deficit di preparazione che i giovani maschi scontano uscendo anzitempo da qualsiasi percorso di istruzione e formazione. E, ovviamente, in un percorso lavorativo sempre più complicato, discontinuo e insoddisfacente. Non solo: il divario nell’istruzione tra uomini e donne italiani allontana il nostro Paese dal resto d’Europa. E a dirlo sono sempre i numeri. Le ragazze laureate sono il 37% del totale, a fronte del 45% fissato come obiettivo europeo al 2030; la quota di ragazzi laureati, invece, non arriva al 24% e, quindi, non tocca nemmeno la metà del target fissato a livello continentale.
Le cause di questo fenomeno possono essere le più svariate. Ricolfi, per esempio, addebita questo divario nell’istruzione di uomini e donne a una tratto culturale della società contemporanea che, di fatto, considera svantaggiato soltanto il gentil sesso. Come se agli uomini dovesse essere negato, sempre e comunque, lo status di “vittima”. A prescindere dalle sue origini, però, un simile scenario dovrebbe essere al più presto analizzato, affrontato, cancellato. Invece nessuno vuole vederlo o parlarne. Eppure in gioco ci sono diritti, ambizioni personali, prospettive di sviluppo.
Si fa un gran parlare delle misure recentemente promosse da governo Meloni in tema di scuola: divieto di portare i telefonini in classe, bocciatura per chi si rifiuta di sostenere l’orale alla maturità, voto in condotta più “pesante” e obbligo di svolgere attività di “cittadinanza solidale” per chi dovesse essere sospeso dalle lezioni per due o più giorni. Anche in questo caso tutto giusto, anzi scontato. Ma non è giusto e nemmeno saggio che politica e opinione pubblica ignorino il divario nell’istruzione di uomini e donne: un problema che prima o poi andrà risolto, a meno che non si voglia legittimare l’ennesima disuguaglianza e ipotecare la crescita di tutto il Paese.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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