
Il paradosso italiano è che la fascia d’età più numerosa nella forza lavoro attuale è quella dei 50-64enni: i baby boomer, oggi colonne portanti del sistema produttivo, domani in massa in pensione. Il ricambio non c’è: troppi giovani non lavorano o fuggono all’estero. E troppe donne restano ai margini: oltre due terzi degli inattivi in Italia – che superano i 12 milioni – sono donne.
“È necessario intervenire con decisione su politiche attive del lavoro mirate a giovani e donne”, ha ribadito Cavallari. A questo si aggiunge un altro imperativo categorico: attrarre lavoratori stranieri qualificati. Senza di loro, la macchina economica rischia di fermarsi.
L’Upb è netta su un punto cruciale: non si devono toccare i meccanismi che legano l’età pensionabile all’aspettativa di vita. Bloccarli sarebbe, secondo Cavallari, “un errore gravissimo”. L’adeguamento automatico è infatti essenziale per contenere la spesa e garantire prestazioni adeguate, evitando pressioni sugli istituti assistenziali.
Se è vero che l’incidenza della spesa pensionistica sul Pil dovrebbe calare nel lungo periodo, nel breve termine le uscite aumenteranno. Soprattutto se la politica dovesse cedere alla tentazione di allentare i requisiti per l’accesso alla pensione.
Il secondo fronte critico è quello della sanità, in particolare per l’assistenza di lungo termine. Oggi il sistema italiano per i non autosufficienti si basa soprattutto su sussidi monetari. Ma per l’Upb, questo approccio è insufficiente. Occorre un salto di qualità, verso un welfare strutturato e fondato su servizi pubblici, sul modello dei Paesi del Nord Europa.
Nel documento ufficiale si sottolinea che “la crescente domanda di cure da parte della popolazione anziana richiederà risorse aggiuntive”, ma che tali risorse “dovranno essere compensate da risparmi in altri settori per non compromettere il consolidamento del debito”.
Il legame tra calo demografico e sostenibilità del debito è meno intuitivo, ma fondamentale. Meno lavoratori significano meno contribuenti, meno Pil, meno margini per abbattere il debito. Già oggi il debito pubblico sfiora il 140% del Pil, e qualsiasi deviazione dalla traiettoria di rientro può costare cara sui mercati internazionali.
Mantenere l’equilibrio di bilancio nei prossimi decenni sarà possibile solo se si avrà il coraggio di affrontare il nodo demografico alla radice. “Nessuna misura espansiva può prescindere dal vincolo della sostenibilità”, ha detto Cavallari.
Il quadro è allarmante, ma non senza vie d’uscita. Il messaggio dell’Upb è chiaro: c’è ancora spazio per invertire la rotta. Ma serve una strategia coesa e di lungo respiro. Dalla valorizzazione del capitale umano alla riforma del welfare, passando per un nuovo patto intergenerazionale.
“Il saldo demografico positivo derivante dall’immigrazione regolare è ormai l’unico motore di tenuta sociale e produttiva”, secondo il Censis. Senza nuovi ingressi qualificati, l’Italia rischia di essere un Paese di pensionati mantenuti da nessuno.
Il tempo delle mezze misure è finito. Per invertire una tendenza che ci condanna al declino servono scelte radicali: più servizi per l’infanzia, congedi più lunghi, incentivi all’occupazione femminile, riforma delle pensioni senza compromessi, attrazione di talenti dall’estero e un vero welfare per la non autosufficienza.
In sintesi: serve uno shock di sistema. O l’Italia sarà un Paese in pensione, senza lavoratori e senza futuro.