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L’apprendistato come paradigma dei processi di innovazione

Un Nobel che guarda al passato per spiegare il futuro

L’assegnazione del Premio Nobel per l’Economia 2025 a Joel Mokyr, storico dell’economia e docente alla Northwestern University, segna un punto di svolta nel modo in cui intendiamo l’innovazione.
Mokyr ha dimostrato che la crescita economica moderna non è frutto del caso o del genio isolato, ma il risultato di una lunga interazione tra conoscenza teorica e pratica, tra cultura e istituzioni, tra chi pensa e chi fa.

L’innovazione, nel pensiero di Mokyr, non nasce nei laboratori chiusi ma nei luoghi dove le persone imparano, sperimentano, trasmettono saperi e si mettono in gioco. In altre parole: dove si apprende.
E qui entra in campo un concetto antico ma più attuale che mai: l’apprendistato.

Apprendere per innovare

L’apprendistato non è solo un contratto di lavoro, ma una metafora sociale e produttiva del modo in cui una comunità costruisce il proprio futuro.
È il ponte tra conoscenza e azione, tra teoria e pratica.

Nell’officina dell’artigiano come nel laboratorio di ricerca, l’apprendista rappresenta la continuità del sapere. Attraverso l’osservazione, la pratica, l’errore e la correzione, egli trasforma la conoscenza ricevuta in competenza viva, pronta a generare nuova innovazione.

Mokyr distingue due tipi di sapere:

  • la propositional knowledge, cioè il sapere teorico (il perché delle cose);
  • la prescriptive knowledge, ossia il sapere pratico (il come farle).

L’innovazione nasce quando queste due dimensioni dialogano.
L’apprendistato, in questa prospettiva, è la palestra dell’innovazione: un sistema in cui la conoscenza evolve per adattamento, per contaminazione, per trasmissione attiva.

Un modello culturale, non solo formativo

Guardare all’apprendistato come paradigma dei processi di innovazione significa andare oltre la formazione professionale.
Significa riconoscerne la valenza culturale: la capacità di rigenerare saperi, di creare continuità tra generazioni e di favorire la cooperazione.

Ogni processo innovativo, infatti, presuppone tre elementi:

  1. Trasmissione del sapere – da una generazione all’altra o tra livelli di esperienza;
  2. Apprendimento attivo – il soggetto non subisce, ma reinventa;
  3. Ambiente cooperativo – che accetta l’errore come parte del percorso.

Le imprese più dinamiche e le istituzioni più moderne sono quelle che si strutturano come organizzazioni che apprendono, dove l’esperienza dei senior si intreccia con la curiosità dei giovani.
Qui l’innovazione diventa pratica quotidiana, non evento eccezionale.

Dal laboratorio alla società

Applicare il paradigma dell’apprendistato ai processi di innovazione significa riconoscere che l’apprendimento continuo è la vera infrastruttura del progresso.
Non bastano tecnologia e capitale: serve una società capace di formare, trasmettere e rigenerare competenze.

L’Italia, con il suo tessuto di piccole e medie imprese, ha costruito la propria forza sull’apprendimento informale, sul “mestiere” tramandato, sulla manualità esperta.
Oggi quella tradizione rischia di spezzarsi se non viene aggiornata attraverso nuove politiche di formazione e inclusione.

Un apprendistato moderno, flessibile e orientato alla conoscenza, può tornare ad essere motore di trasformazione sociale: un luogo dove il lavoro incontra la cultura e l’esperienza diventa innovazione.

Apprendistato e cultura dell’innovazione

Mokyr ci insegna che l’innovazione è anche un fatto culturale: una disposizione mentale al cambiamento, alla curiosità, alla sperimentazione.
In questo senso, l’apprendistato è uno strumento di democrazia del sapere: abbatte le barriere tra accademia e impresa, tra giovani e adulti, tra teoria e pratica.

Ogni apprendista è un innovatore in potenza, perché porta uno sguardo nuovo dentro un sistema consolidato; ogni maestro è un innovatore, perché traduce la propria esperienza in linguaggio condivisibile.
L’innovazione non nasce dal rifiuto del passato, ma dal suo rinnovamento continuo.

Conclusione: un nuovo patto tra generazioni

Rileggere l’apprendistato alla luce del pensiero di Joel Mokyr significa restituirgli dignità culturale e valore strategico.
Nell’era delle intelligenze artificiali e delle trasformazioni digitali, il vero capitale resta quello umano: la capacità di apprendere, insegnare, trasmettere, sperimentare.

Ogni organizzazione che investe in apprendistato non forma solo lavoratori, ma costruttori di futuro.
L’apprendistato, dunque, non è un residuo del passato industriale, ma il cuore del nuovo umanesimo produttivo: un modello in cui la conoscenza si rinnova attraverso le persone, e l’innovazione diventa il frutto di una comunità che sa ancora imparare.

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Direttore Editoriale - Articoli pubblicati: 187

Libero Professionista, impegnato oltre che sul fronte dei servizi e prestazioni connesse al tema della prevenzione degli infortuni in ambienti di lavoro, ha maturato una notevole esperienza nell’ambito delle relazioni sindacali, ed oggi è tra i fondatori di diverse realtà sindacali di carattere Nazionale.

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