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Il declino della politica italiana spiegato in poche righe: addio alle scuole, una pessima legge elettorale e comunicazione affidata ai social

Dibattiti parlamentari, talk show e social network stanno offrendo una vetrina a una nuova generazione di esponenti politici. Che tuttavia, a differenza di chi li ha preceduti ai tempi della Prima Repubblica, non sembrano all’altezza del proprio compito e delle sfide alle quali le istituzioni sono chiamate in questa complessa fase storica.

 

Ma perché l’attuale classe dirigente appare sostanzialmente inadeguata? Dietro questo decadimento ci sono almeno due fattori: da una parte, il venir meno delle tradizionali scuole politiche e, dall’altra, le nuove modalità di comunicazione politica.

Eppure, per quanto riguarda il primo aspetto, i partiti tendono a inaugurare compulsivamente scuole di politica. Ufficialmente il loro obiettivo è quello di strutturare una nuova classe dirigente. In realtà si tratta di strumenti per coinvolgere fedelissimi, misurare il consenso del leader di turno, addestrare alla più becera comunicazione politica e raccogliere i fondi necessari per finanziare l’attività sui territori. A dimostrarlo sono i format adottati da queste scuole, spesso incentrati su brevi lezioni frontali e conferenze che non possono garantire agli “studenti” un’adeguata preparazione. Insomma, le attuali scuole politiche servono a cooptare, di certo non a formare, la classe dirigente. Nulla a che vedere con la scuola delle Frattocchie attraverso la quale, dal 1944 al 1993, il Partito comunista italiano selezionò il personale destinato a ruoli di governo e anche migliaia di militanti ai quali dava la possibilità di approfondire teoria e prassi in vista del futuro impegno sui territori. Lontana anni luce anche la scuola della Camilluccia che dal 1954, sotto la spinta del leader democristiano Amintore Fanfani, offrì a migliaia di cattolici la possibilità di seguire un apprendistato politico e morale, indispensabile per formare la classe dirigente e consolidare l’egemonia della cultura cattolica in un Paese ancora in cerca di identità. Ancora, non va dimenticato il compito che il segretario socialista Bettino Craxi affidò a Valdo Spini, cioè il potenziamento della “Sezione Quadri”, con un preciso obiettivo: selezionare politici e amministratori in grado di affrontare le sfide dell’economia, della politica interna ed estera, della cultura.

Successivamente la fine delle grandi scuole politiche dei partiti di massa si è saldata con la tendenza, tipica dei partiti “personali”, a selezionare la classe dirigente in base alla fedeltà al leader di turno e alla capacità di “bucare” il video. Questo “combinato disposto” ha senz’altro aggravato il declino del personale politico, ma il “colpo di grazia” è arrivato con una legge elettorale che, escludendo le preferenze e affidando la composizione delle liste alle segreterie di partito, induce gli esponenti politici a compiacere il leader anziché impegnarsi concretamente per i territori. La diffusione dei social network, poi, ha fatto il resto Piattaforme come Facebook, X e TikTok assicurano alla classe politica grandi benefici come quello di arrivare direttamente ai cittadini, raggiungere più facilmente il pubblico giovane, offrire una più ampia circolazione delle informazioni e nuovi spazi di discussione. Nello stesso tempo, però, ai social network sono connessi enormi pericoli: disinformazione e misinformazione rischiano di ampliare le distanze sociali e politiche, limitare il dialogo costruttivo e alimentare quella polarizzazione delle opinioni che riduce il dibattito pubblico a uno scontro tra “tifoserie”. In questo contesto molti esponenti politici sono portati a cavalcare le manifestazioni di rabbia di cittadini spesso disinformati, al solo scopo di consolidare la propria nicchia di consenso.

In definitiva, il livello di preparazione del personale politico si è sensibilmente abbassato rispetto a circa trent’anni fa. E l’attuale dibattito pubblico riflette questo declino al quale i partiti dovrebbe invece rimediare. In che modo? Innanzitutto riformando la legge elettorale e ripristinando l’istituto della preferenza, indispensabile per far sì che il candidato si impegni concretamente per l’elettorato e non per il leader di turno. E poi ripristinando quelle scuole di politica e quel tradizionale cursus honorum che, in passato, ha consentito alla politica italiana di formare ed esprimere statisti di indiscutibile valore.

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Direttore Editoriale - Articoli pubblicati: 181

Libero Professionista, impegnato oltre che sul fronte dei servizi e prestazioni connesse al tema della prevenzione degli infortuni in ambienti di lavoro, ha maturato una notevole esperienza nell’ambito delle relazioni sindacali, ed oggi è tra i fondatori di diverse realtà sindacali di carattere Nazionale.

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